Titolo: Floating into the Night
Artista: Julee Cruise
Anno di pubblicazione: 1989
Nazionalità: Iowa, USA
Non ho mai visto un film di David Lynch (Twin Peaks men che meno) e mi azzardo a parlare di un album i cui testi sono scritti da Lynch e le musiche da Badalamenti. Sui testi non mi pronuncerò, allora. Sulla musica, dirò solo che questi arrangiamenti ipersoffusi e onirici (con gli ottoni che compaiono a mettere in crisi tuaa l'atmosfera fino ad allora creata) sono perfettamente adatti alla voce della Cruise. Una voce tanto cristallina ed eterea da competere con quella di personaggi del calibro di Elizabeth Fraser e Hope Sandoval. Vale la pena di ascoltare questo disco anche solo per un motivo del genere, ma preferisco Cocteau Twins e Mazzy Star.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
domenica 30 dicembre 2012
Einstürzende Neubauten - Kollaps
Titolo: Kollaps
Artista: Einstürzende Neubauten
Anno di pubblicazione: 1981
Nazionalità: Germania
Ancora
una volta abbiamo a che fare con un album industrial. C'è però da dire che gli
Einstürzende Neubauten non hanno nulla a che fare coll'industrial pompato da
discoteca (per quanto inquietante possa essere) di Skrew e compagni. La loro
proposta l'ho sempre vista come una di quelle che tenta, con strumentazione
insolita (tra cui lastre di metallo, martelli pneumatici e altro ancora) di
trasmettere l'angoscia provocata dalla società industriale. Industrial nel
senso letterale del termine, in altre parole. Kollaps è stato il loro primo
album ed è composto di brani di breve durata dalla percussivtà ossessiva e metallica,
sferzate metalliche che suonano come una sega circolare che trancia un pezzo
d'acciaio e trapanano le orecchie e soprattutto dalla voce sofferente e urlata
di Blixa Bargeld (roba che i peggiori screamers black metal gli fanno una sega,
per essere volgare). Trattandosi del primo album la cosa suona comunque un po'
zoppicante, come se si trattasse di qualche idea messa lì per vedere come
viene, ma l'ascolto di un pezzo come la title-track, otto minuti di mantra
industriale allucinato e perverso, fanno già capire la classe del gruppo.
Classe che con opere del calibro di Die Zeichnungen Des Patienten O.T. che, pur
usando i suoni più concreti che ci siano, riesce ad essere uno degli album più
astratti di mia conoscenza (anche solo per un brano come Vanadium I-Ching) o
Halber Mensch, che riesce ad aggiungere ad un proposta così audace suggestioni
da discoteca (Yu-Gung) e religiose (il coro di Halber Mensch). Personalmente li
ritengo uno dei gruppi più importanti di tutti gli anni '80.
Valutazione
personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
sabato 29 dicembre 2012
Skrew - Burning in Water, Drowning in Flame
Titolo: Burning in Water, Drowning in Flame
Artista: Skrew
Anno di pubblicazione: 1992
Nazionalità: Texas, USA
Industrial metal di quello pesante. I due gruppi che mi verrebbe immediatamente da citare sono Godflesh e Ministry. L'unico problema è che mentre Streetcleaner e The Land of Rape and Honey sono due dei migliori album industrial di sempre, questo non è minimamente al loro livello. Per quanto Burning in Water, Drowning in Flame sia un disco carico di cattiveria, violenza e simili amenità (vedi Charlemagne) non riesce a scrollarsi di dosso una sensazione di falso da fare accapponare la pelle. Sarà colpa della miscela di industrial, metal e hip hop di Poisonous o dei ritmi da discoteca di Prey Flesh. Intendiamoci, cose del genere non è che non mi piacciano a priori, il problema è che in questo disco sembrano messe lì a caso per non si capisce bene quale motivo. Ciononostante, se si vogliono ascoltare dei bei brani c'è l'ottima title-track con la sua drum-machine tanto cadenzata, metallica e asettica da farmi venire in mente subito i Cop Shoot Cop (e Ask Questions Later è uno dei miei dischi preferiti) e la dinamica Indestructible che oltre ad essere una delle tracce migliori è anche una delle più ballabili. In realtà gli elementi buoni ci sono (la voce non è tra quelli, purtroppo, ma se Jourgensen riesce a cantare nei Ministry questa non è una scusante) il problema è che non sono sfruttati granché bene, a mio parere. Ah, e per chi lo desiderasse c'è pure una cover di Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. Anche quella non è male.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
Artista: Skrew
Anno di pubblicazione: 1992
Nazionalità: Texas, USA
Industrial metal di quello pesante. I due gruppi che mi verrebbe immediatamente da citare sono Godflesh e Ministry. L'unico problema è che mentre Streetcleaner e The Land of Rape and Honey sono due dei migliori album industrial di sempre, questo non è minimamente al loro livello. Per quanto Burning in Water, Drowning in Flame sia un disco carico di cattiveria, violenza e simili amenità (vedi Charlemagne) non riesce a scrollarsi di dosso una sensazione di falso da fare accapponare la pelle. Sarà colpa della miscela di industrial, metal e hip hop di Poisonous o dei ritmi da discoteca di Prey Flesh. Intendiamoci, cose del genere non è che non mi piacciano a priori, il problema è che in questo disco sembrano messe lì a caso per non si capisce bene quale motivo. Ciononostante, se si vogliono ascoltare dei bei brani c'è l'ottima title-track con la sua drum-machine tanto cadenzata, metallica e asettica da farmi venire in mente subito i Cop Shoot Cop (e Ask Questions Later è uno dei miei dischi preferiti) e la dinamica Indestructible che oltre ad essere una delle tracce migliori è anche una delle più ballabili. In realtà gli elementi buoni ci sono (la voce non è tra quelli, purtroppo, ma se Jourgensen riesce a cantare nei Ministry questa non è una scusante) il problema è che non sono sfruttati granché bene, a mio parere. Ah, e per chi lo desiderasse c'è pure una cover di Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. Anche quella non è male.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
giovedì 27 dicembre 2012
Black Sabbath - Master of Reality
Titolo: Master of Reality
Artista: Black Sabbath
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: UK
Se si parla di quei gruppi hard rock che continuo ad ascoltare tutt'ora, non posso non citare i Black Sabbath. Sarà banale, ma il loro primo album continuo a considerarlo uno dei migliori di tutto il rock "cattivo" di sempre (e parlo anche di un pezzi come The Warning o Behind the Wall of Sleep). Con buona pace degli intellettualoni di turno. Venendo a Master of Reality, contine almeno uno dei miei pezzi preferiti di tutta la disografia dei Black Sabbath, ovvero Children of the Grave. Rispetto alla doppietta Black Sabbath & Paranoid, quest'album è decisamente meno roccioso (meno blues volendo) ed ha una maggiore gamma di soluzioni (prendiamo la ballata Solitude, con tanto di accompagnamento di flauto, che ci fa capire come si possa poi arrivare a Changes su Vol. 4). Resta comunque la solidità del riff ripetuto (mai quanto poteva esserlo in un brano come N.I.B.) cosa che mi fa comunque preferire questo disco a un Sabbath Bloody Sabbath che è anche troppo dispersivo persino nei pezzi migliori (Killing Yourself to Live o Sabbra Cadabra). Cercando di mettere ordine (e meno parentesi), il succo è: un disco di hard rock cupo, distorto, roccioso ma senza esagerare e pure breve (appena 34 minuti). Aggiungiamoci dei bei testi a metà tra il sociale e l'occulto (vedi Into the Void) e siamo tutti contenti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Black Sabbath
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: UK
Se si parla di quei gruppi hard rock che continuo ad ascoltare tutt'ora, non posso non citare i Black Sabbath. Sarà banale, ma il loro primo album continuo a considerarlo uno dei migliori di tutto il rock "cattivo" di sempre (e parlo anche di un pezzi come The Warning o Behind the Wall of Sleep). Con buona pace degli intellettualoni di turno. Venendo a Master of Reality, contine almeno uno dei miei pezzi preferiti di tutta la disografia dei Black Sabbath, ovvero Children of the Grave. Rispetto alla doppietta Black Sabbath & Paranoid, quest'album è decisamente meno roccioso (meno blues volendo) ed ha una maggiore gamma di soluzioni (prendiamo la ballata Solitude, con tanto di accompagnamento di flauto, che ci fa capire come si possa poi arrivare a Changes su Vol. 4). Resta comunque la solidità del riff ripetuto (mai quanto poteva esserlo in un brano come N.I.B.) cosa che mi fa comunque preferire questo disco a un Sabbath Bloody Sabbath che è anche troppo dispersivo persino nei pezzi migliori (Killing Yourself to Live o Sabbra Cadabra). Cercando di mettere ordine (e meno parentesi), il succo è: un disco di hard rock cupo, distorto, roccioso ma senza esagerare e pure breve (appena 34 minuti). Aggiungiamoci dei bei testi a metà tra il sociale e l'occulto (vedi Into the Void) e siamo tutti contenti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Disillusion - Gloria
Titolo: Gloria
Artista: Disillusion
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: Germania
Back to Times of Splendor lo considero uno dei più begli album di ambito metal dello scorso decennio (basterebbe la sola titlle-track per classificarlo come tale) e tanto tempo fa avevo provato un paio di tracce di questo lo secondo (e per ora ultimo) album. Niente più death metal cupo (e un po' melodico) dalle reminescenze classicheggianti e dall'andamento progressivo. Al suo posto una esplosiva quanto bizzarra miscela di metal estremo ed industrial ipercadenzato ed iperballabile. Insomma, prendete i Combichrist, aggiungeteci una batteria death metal, delle sfuriate di chitarra cattive (direi efferate ma questo termine nel periodo non avrebbe il benché minimo senso) e distorte al limite del noise e qualche amenità industrial metal in stile Godflesh ed avrete una pur vaga idea di come possa essere Gloria. Poi ascoltatevi The Black Sea (o Don't Go Any Further o la title-track) e lo capirete ancora meglio. Personalmente è uno di quei dischi che sarei felicissimo di sentire in discoteca.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Disillusion
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: Germania
Back to Times of Splendor lo considero uno dei più begli album di ambito metal dello scorso decennio (basterebbe la sola titlle-track per classificarlo come tale) e tanto tempo fa avevo provato un paio di tracce di questo lo secondo (e per ora ultimo) album. Niente più death metal cupo (e un po' melodico) dalle reminescenze classicheggianti e dall'andamento progressivo. Al suo posto una esplosiva quanto bizzarra miscela di metal estremo ed industrial ipercadenzato ed iperballabile. Insomma, prendete i Combichrist, aggiungeteci una batteria death metal, delle sfuriate di chitarra cattive (direi efferate ma questo termine nel periodo non avrebbe il benché minimo senso) e distorte al limite del noise e qualche amenità industrial metal in stile Godflesh ed avrete una pur vaga idea di come possa essere Gloria. Poi ascoltatevi The Black Sea (o Don't Go Any Further o la title-track) e lo capirete ancora meglio. Personalmente è uno di quei dischi che sarei felicissimo di sentire in discoteca.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
martedì 18 dicembre 2012
Dum Dum Girls - Only in Dreams
Titolo: Only in Dreams
Artista: Dum Dum Girls
Anno di pubblicazione: 2011
Nazionalità: California, USA
Avevo fatto partire questo disco credendo di trovarmi di fronte a un album firmato Sun City Girls (uno di quei gruppi che conosco solo per nome e in cui ripongo molte aspettative). Quando è partita Bedroom Eyes ho capito il mio errore ma ho proseguito nell'ascolto. Dopo trentacinque minuti posso dire che, per quanto Bedroom Eyes possa sembrare il tipico brano poppeggiante senza molto da dire, Only in Dreams è un buon disco pop, che può vantarsi della bella voce di Dee Dee e di distorsioni e feedback chitarristici tali da creare un muro sonoro indistinto da manuale di shoegaze. Senza raggiungere la bellezza di dischi come Nowhere dei Ride, ma è anche vero che non sono più gli anni '90.
Dimenticanza a cui occorre porre rimedio: Hold Your Hand mi ricordava Sunday Morning ad un primo ascolto. In realtà non è vero. Credo somigli di più a Lady Godiva's Operation. Sempre di Velvet Underground si parla. Vabbeh, scusate la parentesi e saluti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
Artista: Dum Dum Girls
Anno di pubblicazione: 2011
Nazionalità: California, USA
Avevo fatto partire questo disco credendo di trovarmi di fronte a un album firmato Sun City Girls (uno di quei gruppi che conosco solo per nome e in cui ripongo molte aspettative). Quando è partita Bedroom Eyes ho capito il mio errore ma ho proseguito nell'ascolto. Dopo trentacinque minuti posso dire che, per quanto Bedroom Eyes possa sembrare il tipico brano poppeggiante senza molto da dire, Only in Dreams è un buon disco pop, che può vantarsi della bella voce di Dee Dee e di distorsioni e feedback chitarristici tali da creare un muro sonoro indistinto da manuale di shoegaze. Senza raggiungere la bellezza di dischi come Nowhere dei Ride, ma è anche vero che non sono più gli anni '90.
Dimenticanza a cui occorre porre rimedio: Hold Your Hand mi ricordava Sunday Morning ad un primo ascolto. In realtà non è vero. Credo somigli di più a Lady Godiva's Operation. Sempre di Velvet Underground si parla. Vabbeh, scusate la parentesi e saluti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
domenica 16 dicembre 2012
Alice Cooper - KIller
Titolo: Killer
Artista: Alice Cooper
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: Michigan, USA
Come chiunque abbia avuto un passato da metallaro, anch'io ho avuto un periodo di passione per hard rock e derivati. Ora come ora questa passione si è spenta quasi del tutto (salvo alcuni intramontabili) ma ogni tanto non mi dispiace ascoltare qualcosa. Di Alice Cooper all'epoca ero un grande fan soprattutto perché troppo pesante per essere davvero glam come voleva mostrarsi (il che gli fa superare con un balzo i vari Def Leppard, Dokken e persino i Twisted Sister), ma lo conoscevo principalmente solo per i suoi pezzi più famosi (che sia Poison o School's Out lascio a voi la scelta). Diverso tempo fa avevo ascoltato uno dei suoi primi album (Love It to Death per chi fosse interessato) e mi aveva sorpreso per alcuni brani quantomeno raffinati per essere un semplice disco di hard rock (la ballata Second Coming o Ballad of Dwight Fry), così mi son deciso a non rifiutare la possibilità di un secondo ascolto. Kilelr risale allo stesso anno ma mi sembra nettamente più valido del predecessore; al di là dei soliti brani hard rock (Under my Wheels, Be My Lover, Yeah, Yeah, Yeah) credo che valga pena di ascoltare Killer per la presenza di tematiche violente (la title-track e Desperado) e brani lunghi e articolati in maniera diversa rispetto al solito verso-ritornello-verso-ritornello-assolo-ritornello (Halo of Flies) e soprattutto per Dead Babies che è al limite del punk rock. No, questa è un'esagerazione, ma di certo pochissimi gruppi hard rock "normali" oserebbero scrivere un pezzo del genere.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: Alice Cooper
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: Michigan, USA
Come chiunque abbia avuto un passato da metallaro, anch'io ho avuto un periodo di passione per hard rock e derivati. Ora come ora questa passione si è spenta quasi del tutto (salvo alcuni intramontabili) ma ogni tanto non mi dispiace ascoltare qualcosa. Di Alice Cooper all'epoca ero un grande fan soprattutto perché troppo pesante per essere davvero glam come voleva mostrarsi (il che gli fa superare con un balzo i vari Def Leppard, Dokken e persino i Twisted Sister), ma lo conoscevo principalmente solo per i suoi pezzi più famosi (che sia Poison o School's Out lascio a voi la scelta). Diverso tempo fa avevo ascoltato uno dei suoi primi album (Love It to Death per chi fosse interessato) e mi aveva sorpreso per alcuni brani quantomeno raffinati per essere un semplice disco di hard rock (la ballata Second Coming o Ballad of Dwight Fry), così mi son deciso a non rifiutare la possibilità di un secondo ascolto. Kilelr risale allo stesso anno ma mi sembra nettamente più valido del predecessore; al di là dei soliti brani hard rock (Under my Wheels, Be My Lover, Yeah, Yeah, Yeah) credo che valga pena di ascoltare Killer per la presenza di tematiche violente (la title-track e Desperado) e brani lunghi e articolati in maniera diversa rispetto al solito verso-ritornello-verso-ritornello-assolo-ritornello (Halo of Flies) e soprattutto per Dead Babies che è al limite del punk rock. No, questa è un'esagerazione, ma di certo pochissimi gruppi hard rock "normali" oserebbero scrivere un pezzo del genere.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Röyksopp - Melody A.M.
Titolo: Melody A.M.
Artista: Röyksopp
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: Norvegia
Non so bene cosa scrivere. I Röyksopp mi sono sempre stati
venduti come un duo di elettronica. Ma se si ascolta Röyksopp's Night Out
sembra di avere nelle orecchie un pezzo da cocktail bar con giusto una spruzzata
di elettronica. A parte nell'ultimo minuto e mezzo (su sette). Il resto del
disco segue bene o male le stesse orme, elettroniche ma non troppo, sezione
ritmica molto funky e atmosfere lounge. Con qualche inserto jazz (vedi She's
So). Non ho la benché minima idea se la cosa sia valida, ma mi viene da
associarlo ai Jamiroquai. Tra Melody A.M. e The Return of the Space Cowboy
scelgo decisamente il primo. So Easy decisamente il miglior brano.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
GIorgio Moroder - From Here to Eternity
Titolo: From Here to Eternity
Artista: Giorgio Moroder
Anno di pubblicazione: 1977
Nazionalità: Italia
Synth pop nella sua forme più pura e ancestrale. Musica elettronica ballabile e fruibile con estrema facilità, condita da vocine effettate (vedi I'm Left, You're Right, She's Gone o la title-track). Godibile al cento per cento. La risposta italiana ai secondi Kraftwerk? Di sicuro è talmente simile a The Man Machine che ad un primo ascolto l'ho creduto un plagio. Poi mi sono reso conto che Frome Here to Eternity risale all'anno prima. Quando il trash all'italiana vale l'ascolto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: Giorgio Moroder
Anno di pubblicazione: 1977
Nazionalità: Italia
Synth pop nella sua forme più pura e ancestrale. Musica elettronica ballabile e fruibile con estrema facilità, condita da vocine effettate (vedi I'm Left, You're Right, She's Gone o la title-track). Godibile al cento per cento. La risposta italiana ai secondi Kraftwerk? Di sicuro è talmente simile a The Man Machine che ad un primo ascolto l'ho creduto un plagio. Poi mi sono reso conto che Frome Here to Eternity risale all'anno prima. Quando il trash all'italiana vale l'ascolto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
domenica 9 dicembre 2012
Loose Fur - Loose Fur
Titolo: Loose Fur
Artista: Loose Fur
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: Illinois, USA
Due membri dei Wilco assieme a Jim O'Rourke. Non ho mai ascoltato nessuno dei due riferimenti (i Wilco li conosco di fama), si tratta di un puro corollario al commento. Visto l'anno di pubblicazione, nonostante la provenienza dei componenti possiamo avere qualche problema a considerarli tali, ma non credo sia errato definirli un supergruppo indie rock. Sarà per la copertina sciccosa ma con quel tocco di bassa fedeltà ed estemporaneità che ci dovrebbe fare capire che in realtà i Loose Fur si prendono poco sul serio e hanno un gran cervello, sarà perché da sempre sento associare i Wilco all'indie rock più intellettuale, sarà per un altro motivo. Venendo al disco in quanto musica, direi che è perfettamente riassunto dalla copertina: sei brani di durata variabile tra i nove minuti di So Long (sono ironici pure nel titolo, dai) ai tre e mezzo di You Were Wrong, che danno l'impressione di essere suonati tanto per suonare insieme ma che sotto sotto mi suonano un po' presuntuosi, come se dicessero "guarda, noi suoniamo così quando non sappiamo che fare, immagina se facessimo sul serio". E questo mi dà fastidio. A onor del vero, c'è da dire che la competenza dei tre è assolutamente ineccepibile e quando non si dilungano eccessivamente (soprattuto nella coda di Laminated Cat) sono pure molto bravi, il problema sta nell'atteggiamento. Da menzionare quantomeno la coda strumentale di So Long (e qua purtroppo devo concordare col solito Scaruffi) e la ballata un po' folk un po' prog (molto Meat Puppets di sicuro) Elegant Transaction. Il resto non è male ma non è nulla di miracoloso, farà comunque la gioia di qualche intellettuale indie. Riccardo Salvini, questa è per te!
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: Loose Fur
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: Illinois, USA
Due membri dei Wilco assieme a Jim O'Rourke. Non ho mai ascoltato nessuno dei due riferimenti (i Wilco li conosco di fama), si tratta di un puro corollario al commento. Visto l'anno di pubblicazione, nonostante la provenienza dei componenti possiamo avere qualche problema a considerarli tali, ma non credo sia errato definirli un supergruppo indie rock. Sarà per la copertina sciccosa ma con quel tocco di bassa fedeltà ed estemporaneità che ci dovrebbe fare capire che in realtà i Loose Fur si prendono poco sul serio e hanno un gran cervello, sarà perché da sempre sento associare i Wilco all'indie rock più intellettuale, sarà per un altro motivo. Venendo al disco in quanto musica, direi che è perfettamente riassunto dalla copertina: sei brani di durata variabile tra i nove minuti di So Long (sono ironici pure nel titolo, dai) ai tre e mezzo di You Were Wrong, che danno l'impressione di essere suonati tanto per suonare insieme ma che sotto sotto mi suonano un po' presuntuosi, come se dicessero "guarda, noi suoniamo così quando non sappiamo che fare, immagina se facessimo sul serio". E questo mi dà fastidio. A onor del vero, c'è da dire che la competenza dei tre è assolutamente ineccepibile e quando non si dilungano eccessivamente (soprattuto nella coda di Laminated Cat) sono pure molto bravi, il problema sta nell'atteggiamento. Da menzionare quantomeno la coda strumentale di So Long (e qua purtroppo devo concordare col solito Scaruffi) e la ballata un po' folk un po' prog (molto Meat Puppets di sicuro) Elegant Transaction. Il resto non è male ma non è nulla di miracoloso, farà comunque la gioia di qualche intellettuale indie. Riccardo Salvini, questa è per te!
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
David Sylvian - Secrets of the Beehive
Titolo: Secrets of the Beehive
Artista: David Sylvian
Anno di pubblicazione: 1987
Nazionalità: UK
A volte capita di farsi delle idee su di un disco senza neppure averlo ascoltato. Nel caso in questione difficilmente mi toglierò dalla testa che Secrets of the Beehive sia stato all'epoca della sua uscita un album di culto. Non ha importanza che la cosa corrisponda o meno a verità. E' uno di quegli album estremamente raffinati, che se non piacciono ai nostri cari intelletualoni torinesi è solo perché hanno troppa voglia di essere snob: le composizioni sono molto distese, quasi sognanti (anche quando interviene un elemento come il sassofono che con la musica classica magari ha ben poco a che fare) e si sposano perfettamente con il "cantato" (che poi è al limite del recitato) dolce e molto profondo di Sylvian che compone pezzi ugualmente intimisti, di quelli che sono perfetti per momenti di estrema solitudine con una punta di malinconia. Senza depressione, però: non credo che il disco voglia essere cupo o triste, solo leggermente malinconico. Consideriamo poi che i nove brani sono arrangiati da Ryuichi Sakamoto e avremo sicuramente un disco intellettuale ma estremamente godibile, di quelli che è un peccato scaricare a priori solo per quel motivo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: David Sylvian
Anno di pubblicazione: 1987
Nazionalità: UK
A volte capita di farsi delle idee su di un disco senza neppure averlo ascoltato. Nel caso in questione difficilmente mi toglierò dalla testa che Secrets of the Beehive sia stato all'epoca della sua uscita un album di culto. Non ha importanza che la cosa corrisponda o meno a verità. E' uno di quegli album estremamente raffinati, che se non piacciono ai nostri cari intelletualoni torinesi è solo perché hanno troppa voglia di essere snob: le composizioni sono molto distese, quasi sognanti (anche quando interviene un elemento come il sassofono che con la musica classica magari ha ben poco a che fare) e si sposano perfettamente con il "cantato" (che poi è al limite del recitato) dolce e molto profondo di Sylvian che compone pezzi ugualmente intimisti, di quelli che sono perfetti per momenti di estrema solitudine con una punta di malinconia. Senza depressione, però: non credo che il disco voglia essere cupo o triste, solo leggermente malinconico. Consideriamo poi che i nove brani sono arrangiati da Ryuichi Sakamoto e avremo sicuramente un disco intellettuale ma estremamente godibile, di quelli che è un peccato scaricare a priori solo per quel motivo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Etichette:
7,
avant-garde,
cantautorato,
elettronica
mercoledì 21 novembre 2012
Crime & The City Solution - Room of Lights
Artista: Crime & The City Solution
Anno di pubblicazione: 1986
Nazionalità: Australia
Se suoni punk dalle reminescenze blues e sei australiano non puoi non fare i conti con Nick Cave. Soprattutto se con te suonano Mick Harvey e Rowland S. Howard, entrambi membri dei Birthday Party. In realtà la proposta dei Crime& The City Solution è molto più punk di quella dei Birthday Party e soprattutto può vantare una vena gotica tale da oscurare (almeno per il sottoscritto) quella di gruppi come Joy Division o Bauhaus. Perché? Perché il cantato di Simon Bonney, per quanto sia debitore di Nick Cave, trovo che sia immensamente più sofferto e carismatico di quello anemico di Ian Curtis o di quello melodrammatico di Peter Murphy. Senza contare la presenza alla batteria di Epic Soundtracks degli Swell Maps (A Trip to Marineville è uno dei miei album preferiti). Purtroppo lo spettro di Cave aleggia in maniera davvero troppo marcata (un ascoltatore distratto difficilmente distinguerebbe tra lui e Bonney) per farmi apprezzare fino in fondo un disco che sotto ogni punto di vista vale la pena di essere ascoltato. Se però le derive gotiche del punk non mi hanno mai particolarmente appassionato e i Birthday Party suonano un punk incrociato col blues dalle tematiche più interessanti (vogliamo parlare di Nick The Stripper?), non vedo perché approfondire più di tanto. Resta comunque un disco pienamente consigliato.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
domenica 18 novembre 2012
Lizzy Mercier Descloux - Mais où Sont Passées les Gazelles
Titolo: Mais où Sont Passées les Gazelles
Artista: Lizzy Mercier Descloux
Anno di pubblicazione: 1984
Nazionalità: Francia
Questo è Alberto Camerini (avete presente Rock n' Roll Robot?). Solo che è donna. Ed è Francese. Io sono italiano. Preferisco Camerini.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: non pervenuta
Artista: Lizzy Mercier Descloux
Anno di pubblicazione: 1984
Nazionalità: Francia
Questo è Alberto Camerini (avete presente Rock n' Roll Robot?). Solo che è donna. Ed è Francese. Io sono italiano. Preferisco Camerini.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: non pervenuta
martedì 13 novembre 2012
Dopesmoker - Sleep
Titolo: Dopesmoker
Artista: Sleep
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: California, USA
Per chi non lo sapesse, lo stoner (rock e metal) è una delle mie più grandi passioni. E gli Sleep sono uno dei pilastri del genere. La storia di Dopesmoker è contorta: in origine doveva essere pubblicato poco dopo Sleep's Holy Mountain (1993) ma ci furono problemi con la casa discografica a cuasa delle tematiche (erba, ascetismo e parecchie reminescenze bibliche) e si dovettero attendere sei anni per Jerusalem (che era di una decina di minuti più breve ma ugualmente colossale). Nel 2003, comunque Dopesmoker, grazie probabilmente ad un interesse crescente per il genere (anche se non ne sono minimamente sicuro) vide la luce. Io ho sempre atteso di essere nella condizione mentale giusta per ascoltarlo, visto che si tratta di un disco monotraccia della durata di ben 63 minuti. Dopo l'ascolto l'unica parola che possa venire in mente è: colossale. Non per quel che riguarda la statura, ma proprio per l'impressione di immensità che danno i riff impastati e rallentatissimi (oltre che sitorti all'inverosimile) di Matt Pike, così come il cantato apocalittico di Al Cisneros (oltre che le linee di basso altrettanto possenti). La ritmica è fondamentalmente monotona ed ossessiva e in generale il disco cerca di portare l'ascoltatore ad uno stato di trance (anche se in un paio di momenti sono presenti degli assoli di chitarra "stonata"). Credo che occorra un certo stomaco per poter digerire un album del genere, ma questa è l'apoteosi del colosso stoner, una marcia sfinente attraverso un deserto (e qui mi faccio anche ispirare dalla copertina della nuova release per la Southern Lord). Per quel che mi riguarda, se questo disco non è un capolavoro poco ci manca.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9
Artista: Sleep
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: California, USA
Per chi non lo sapesse, lo stoner (rock e metal) è una delle mie più grandi passioni. E gli Sleep sono uno dei pilastri del genere. La storia di Dopesmoker è contorta: in origine doveva essere pubblicato poco dopo Sleep's Holy Mountain (1993) ma ci furono problemi con la casa discografica a cuasa delle tematiche (erba, ascetismo e parecchie reminescenze bibliche) e si dovettero attendere sei anni per Jerusalem (che era di una decina di minuti più breve ma ugualmente colossale). Nel 2003, comunque Dopesmoker, grazie probabilmente ad un interesse crescente per il genere (anche se non ne sono minimamente sicuro) vide la luce. Io ho sempre atteso di essere nella condizione mentale giusta per ascoltarlo, visto che si tratta di un disco monotraccia della durata di ben 63 minuti. Dopo l'ascolto l'unica parola che possa venire in mente è: colossale. Non per quel che riguarda la statura, ma proprio per l'impressione di immensità che danno i riff impastati e rallentatissimi (oltre che sitorti all'inverosimile) di Matt Pike, così come il cantato apocalittico di Al Cisneros (oltre che le linee di basso altrettanto possenti). La ritmica è fondamentalmente monotona ed ossessiva e in generale il disco cerca di portare l'ascoltatore ad uno stato di trance (anche se in un paio di momenti sono presenti degli assoli di chitarra "stonata"). Credo che occorra un certo stomaco per poter digerire un album del genere, ma questa è l'apoteosi del colosso stoner, una marcia sfinente attraverso un deserto (e qui mi faccio anche ispirare dalla copertina della nuova release per la Southern Lord). Per quel che mi riguarda, se questo disco non è un capolavoro poco ci manca.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9
Pegboy - Strong Reaction
Titolo: Strong Reaction
Artista: Pegboy
Anno di pubblicazione: 1991
Nazionalità: Illionois, USA
Ho seri dubbi se questo disco sia catalogabile come hardcore visto che non mi pare stilisticamente affine al genere. Il problema è che l'attitudine mi sa senza ombra di dubbio di ahrdcore. Lascio il problema agli altri ascoltatori. Per ilr esto, è un disco che ho adorato sin dalla title-track inziale, con le sue chitarre distorte e riverberate e la voce tra il rabbioso e il sofferente del cantante. Non ho molto da dire, basti sapere che si tratat di un disco che va a mille all'ora e che farà la gioia di qualunque amante del punk rock e non solo.
Valutazioen personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Artista: Pegboy
Anno di pubblicazione: 1991
Nazionalità: Illionois, USA
Ho seri dubbi se questo disco sia catalogabile come hardcore visto che non mi pare stilisticamente affine al genere. Il problema è che l'attitudine mi sa senza ombra di dubbio di ahrdcore. Lascio il problema agli altri ascoltatori. Per ilr esto, è un disco che ho adorato sin dalla title-track inziale, con le sue chitarre distorte e riverberate e la voce tra il rabbioso e il sofferente del cantante. Non ho molto da dire, basti sapere che si tratat di un disco che va a mille all'ora e che farà la gioia di qualunque amante del punk rock e non solo.
Valutazioen personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Cloud Nothings - Attack on Memory
Titolo: Attack on Memory
Artista: Cloud Nothings
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: Ohio, USA
Non so bene perché mi tenga aggiornato sulle uscite in materia di indie rock, visto che detesto l'ascoltatore medio di questo tipo di musica (l'avevo già accennato in precedenza, la colpa è della città di Torino). In ogni caso, visto che a volte mi sono ritrovato anche di fronte a gruppi indie piuttosto buoni (Portugal. The Man e Besnard Lakes, per dirne due), preferisco correre il rischio. Di questo disco avevo sentito parlare abbastanza bene (anche se la solita Ondarock dice il contrario) e ho voluto provarlo. E mi è piaciuto (So che un periodo non dovrebbe iniziare con una congiunzione ma ho deciso arbitrariamente di metterla ugualmente). Le sonorità sono parecchio accessibili ma (probabilmente grazie alla produzione del solito Steve Albini) al tempo stesso molto interessanti: alla melodia pura (che in Fall In la fa da pardona) si accompagnano distorsioni in pieno stile shoegaze (genere che avrà i suoi detrattori ma a me onestamente piace) e persino qualche passaggio al limite del post-hardcore (vedi No Sentiment e Wasted Days). A questo si accompagna la voce graffiante di Dylan Baldi degna del miglior pop punk ed ecco un bel disco. Forse un po' poco attuale, ma a mio parere ricco di fascino.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Cloud Nothings
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: Ohio, USA
Non so bene perché mi tenga aggiornato sulle uscite in materia di indie rock, visto che detesto l'ascoltatore medio di questo tipo di musica (l'avevo già accennato in precedenza, la colpa è della città di Torino). In ogni caso, visto che a volte mi sono ritrovato anche di fronte a gruppi indie piuttosto buoni (Portugal. The Man e Besnard Lakes, per dirne due), preferisco correre il rischio. Di questo disco avevo sentito parlare abbastanza bene (anche se la solita Ondarock dice il contrario) e ho voluto provarlo. E mi è piaciuto (So che un periodo non dovrebbe iniziare con una congiunzione ma ho deciso arbitrariamente di metterla ugualmente). Le sonorità sono parecchio accessibili ma (probabilmente grazie alla produzione del solito Steve Albini) al tempo stesso molto interessanti: alla melodia pura (che in Fall In la fa da pardona) si accompagnano distorsioni in pieno stile shoegaze (genere che avrà i suoi detrattori ma a me onestamente piace) e persino qualche passaggio al limite del post-hardcore (vedi No Sentiment e Wasted Days). A questo si accompagna la voce graffiante di Dylan Baldi degna del miglior pop punk ed ecco un bel disco. Forse un po' poco attuale, ma a mio parere ricco di fascino.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
domenica 4 novembre 2012
Roy Harper - Folkjokeopus
Titolo: Folkjokeopus
Artista: Roy Harper
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK
A vedere la copertina mi aspettavo un disco à la Screamin' Jay Hawkins. Invece il riferimento più prossimo tra quelli che mi vengono in mente è Bill Fay. Mancando il misticismo oscuro di Time of the Last Persecution e le sue bizzarrie strumentali, il risultato che Folkjokeopus è un disco di folk rock spensierato (Exercising Some Control) che non disdegna di legarsi per un po' con atmosfere da bar (Manana) e che nasconde nel profondo un'anima cupa: la bellissima cavalcata di diciotto minuti McGoogan's Blues è il cuore del disco e da sola vale l'intero ascolto.
Valutazione personale epr chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Roy Harper
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK
A vedere la copertina mi aspettavo un disco à la Screamin' Jay Hawkins. Invece il riferimento più prossimo tra quelli che mi vengono in mente è Bill Fay. Mancando il misticismo oscuro di Time of the Last Persecution e le sue bizzarrie strumentali, il risultato che Folkjokeopus è un disco di folk rock spensierato (Exercising Some Control) che non disdegna di legarsi per un po' con atmosfere da bar (Manana) e che nasconde nel profondo un'anima cupa: la bellissima cavalcata di diciotto minuti McGoogan's Blues è il cuore del disco e da sola vale l'intero ascolto.
Valutazione personale epr chi non ha voglia di leggere: 7.5
Franco Battiato - Pollution
Titolo: Pollution
Artista: Franco Battiato
Anno di pubblicazione: 1972
Nazionalità: Italia
Per quanto non ne abbia la certezza, è mia opinione che su internet si tenda a dare maggior rilevanza alla prima parte della carriera di Battiato rispetto alla seconda. Parlare di Pollution equivale quindi a parlare di una cosa abbastanza nota. Qualora non lo sapeste, i primi tre album di Battiato (Fetus, Pollution e Sulle Corde di Aries) vengono ad oggi considerati dei capisaldi per quel che riguarda le prime sperimentazioni elettroniche "popolari" (per quanto un aggettivo del genere sia utilizzabile in riferimento a lui) in Italia. Soprattutto Fetus che è un tripudio di sintetizzatori (l'intro di Meccanica è da discoteca). Pollution è decisamente più "altolocato", forte di campionamenti d'orchestra e liriche astruse (Il Silenzio del Rumore è la migliore apertura in questo senso), ma si lascia ascoltare grazie ad una durata molto contenuta (poco più di mezz'ora) e alla maggior varietà di soluzioni rispetto al disco precednete che era l'equivalente italiano e pià sperimentale di Ambiant Otaku di Tetsu Inoue (ricordate?). Areknames, strutturata più come un canto rituale che come un brano rock mi è piaciuta molto, come pure Plancton. Ho qualche perplessità sul testo di Pollution, invece.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Franco Battiato
Anno di pubblicazione: 1972
Nazionalità: Italia
Per quanto non ne abbia la certezza, è mia opinione che su internet si tenda a dare maggior rilevanza alla prima parte della carriera di Battiato rispetto alla seconda. Parlare di Pollution equivale quindi a parlare di una cosa abbastanza nota. Qualora non lo sapeste, i primi tre album di Battiato (Fetus, Pollution e Sulle Corde di Aries) vengono ad oggi considerati dei capisaldi per quel che riguarda le prime sperimentazioni elettroniche "popolari" (per quanto un aggettivo del genere sia utilizzabile in riferimento a lui) in Italia. Soprattutto Fetus che è un tripudio di sintetizzatori (l'intro di Meccanica è da discoteca). Pollution è decisamente più "altolocato", forte di campionamenti d'orchestra e liriche astruse (Il Silenzio del Rumore è la migliore apertura in questo senso), ma si lascia ascoltare grazie ad una durata molto contenuta (poco più di mezz'ora) e alla maggior varietà di soluzioni rispetto al disco precednete che era l'equivalente italiano e pià sperimentale di Ambiant Otaku di Tetsu Inoue (ricordate?). Areknames, strutturata più come un canto rituale che come un brano rock mi è piaciuta molto, come pure Plancton. Ho qualche perplessità sul testo di Pollution, invece.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Mo Boma - Myths of the Near Future, Vol. 1
Titolo: Myths of the Near Future, Vol. 1
Artista: Mo Boma
Anno di pubblicazione: 1996
Nazionalità: Germania, Islanda
World music dalle tinte africane con l'aggiunta di sintetizzatori. Onestamente non impazzisco per certe cose, ma in questo caso l'effetto è parecchio piacevole e rilassante. Scaruffi dice che quello che solitamente in un brano viene usato come sfondo, in questo disco sta in primo piano. Credo intenda dire che l'aspetto più "atmosferico" ha un ruolo notevole (o qualcosa di simile). In ogni caso c'è un bellissimo lavoro di basso e batteria (oltre che di tromba) e la strumentazione più "canonica" si adatta molto bene ai campionamenti di suoni della giungla. Insomma, roba raffinata e ben fatta. Altro che l'orribile Second Nature di Bill laswell.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Mo Boma
Anno di pubblicazione: 1996
Nazionalità: Germania, Islanda
World music dalle tinte africane con l'aggiunta di sintetizzatori. Onestamente non impazzisco per certe cose, ma in questo caso l'effetto è parecchio piacevole e rilassante. Scaruffi dice che quello che solitamente in un brano viene usato come sfondo, in questo disco sta in primo piano. Credo intenda dire che l'aspetto più "atmosferico" ha un ruolo notevole (o qualcosa di simile). In ogni caso c'è un bellissimo lavoro di basso e batteria (oltre che di tromba) e la strumentazione più "canonica" si adatta molto bene ai campionamenti di suoni della giungla. Insomma, roba raffinata e ben fatta. Altro che l'orribile Second Nature di Bill laswell.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
sabato 3 novembre 2012
Klaus Nomi - Klaus Nomi
Titolo: Klaus Nomi
Artista: Klaus Nomi
Anno di pubblicazione: 1982
Nazionalità: Germania
Prendete i Queen più da cabaret. Al posto di chitarra, basso e batteria mettete un sintetizzatore e una drum machine. Rendete la voce di Freddie Mercury più operistica che da vaudeville. A quel punto infilateci anche un po' di Wagner che non fa mai male. Ecco Klaus Nomi. A me non piace, magari a qualcuno che apprezza di più la new wave potrà interessare. Se piacesse, potrebbe interessare anche On the Way to the Peak of Normal di Holger Czukay (stesso anno).
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
Artista: Klaus Nomi
Anno di pubblicazione: 1982
Nazionalità: Germania
Prendete i Queen più da cabaret. Al posto di chitarra, basso e batteria mettete un sintetizzatore e una drum machine. Rendete la voce di Freddie Mercury più operistica che da vaudeville. A quel punto infilateci anche un po' di Wagner che non fa mai male. Ecco Klaus Nomi. A me non piace, magari a qualcuno che apprezza di più la new wave potrà interessare. Se piacesse, potrebbe interessare anche On the Way to the Peak of Normal di Holger Czukay (stesso anno).
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
65daysofstatic - One Time for All Time
Titolo: One Time for All Time
Artista: 65daysofstatic
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: UK
I dischi di post rock inglese li ho sempre trovati parecchio evocativi ma comunque molto dilatati e rilassanti come atmosfere. Certo, il motivo di questo può benissimo essere la lunga frequentazione dei gruppi classici della scena inglese (quindi Talk Talk e Bark Psychosis); mi aspettavo in ogni caso un disco che seguisse le stesse coordinate, soprattutto perchè i 65daysofstatic sono un gruppo strumentale. Invece, One Time for All Time è uscito nel 2006, 12 anni dopo Hex dei Bark Psychosis. La ricezione della musica si è evoluta nel frattempo e hanno fatto la loro comparsa altri generi. Questo dovrebbe voler dire che pure il post rock dovrebbe aver espanso parecchio i suoi orizzonti, cosa che tuttavia non sappiamo mai dire se sia vera, vista la presenza di tantissimi gruppi che non fanno molto più che riproporre (a me vengono in mente i Giardini di Mirò, poi ciascuno la pensi come vuole) robe già sentite. Tornando al disco in questione, è esterno a questa breve critica: si tratta infatti di un ibrido assai ben riuscito di (post) rock e drum & bass. Non ci sono i classici brani iperdilatati di un disco post rock e persino i momenti di distensione sono abbastanza scarsi. Al loro posto, passaggi schizofrenici di batteria che lavora quanto le pulsazioni elettroniche di Venetian Snares così come il resto della strumentazione suona più come un sintetizzatore che altro. Se ancora ci fossero dubbi, l'ascolto dell'iniziale Drove Through Ghosts to Get Here dovrebbero dissiparli tutti. Come i Battles ma più diretti.
Valutazione personale per chi non ha vogllia di leggere: 7.5
Artista: 65daysofstatic
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: UK
I dischi di post rock inglese li ho sempre trovati parecchio evocativi ma comunque molto dilatati e rilassanti come atmosfere. Certo, il motivo di questo può benissimo essere la lunga frequentazione dei gruppi classici della scena inglese (quindi Talk Talk e Bark Psychosis); mi aspettavo in ogni caso un disco che seguisse le stesse coordinate, soprattutto perchè i 65daysofstatic sono un gruppo strumentale. Invece, One Time for All Time è uscito nel 2006, 12 anni dopo Hex dei Bark Psychosis. La ricezione della musica si è evoluta nel frattempo e hanno fatto la loro comparsa altri generi. Questo dovrebbe voler dire che pure il post rock dovrebbe aver espanso parecchio i suoi orizzonti, cosa che tuttavia non sappiamo mai dire se sia vera, vista la presenza di tantissimi gruppi che non fanno molto più che riproporre (a me vengono in mente i Giardini di Mirò, poi ciascuno la pensi come vuole) robe già sentite. Tornando al disco in questione, è esterno a questa breve critica: si tratta infatti di un ibrido assai ben riuscito di (post) rock e drum & bass. Non ci sono i classici brani iperdilatati di un disco post rock e persino i momenti di distensione sono abbastanza scarsi. Al loro posto, passaggi schizofrenici di batteria che lavora quanto le pulsazioni elettroniche di Venetian Snares così come il resto della strumentazione suona più come un sintetizzatore che altro. Se ancora ci fossero dubbi, l'ascolto dell'iniziale Drove Through Ghosts to Get Here dovrebbero dissiparli tutti. Come i Battles ma più diretti.
Valutazione personale per chi non ha vogllia di leggere: 7.5
mercoledì 17 ottobre 2012
Disco Inferno - D.I. Go Pop
Titolo: D.I. Go Pop
Artista: Disco Inferno
Anno di pubblicazione: 1994
Nazionalità: UK
I Disco Inferno si danno al pop. Certo, per quanto si possa dare al pop un gruppo di musica industruale. Cut-up, rumorismi, ritmi percussivi e martellanti e simili amenità. Per quanto riguarda il pop, ve ne è una sottilissima venatura easy-listening nell'iniziale In Sharky Water (che è comunque la più danzereccia); questa venatura si ispessisce sempre di più fino ad arrivare a A Whole Wide World Ahead che è probabilmente un ottimo compromesso tra le due soluzioni. L'idea è molto carina e le soluzioni pure (grazie anche a qualche ritmo trascinante), soprattutto considerato l'anno di pubblicazione. Dubito però che chi non avesse un minimo di interesse nel panorama industrial (quello inglese che fa capo a gruppi come i Cabaret Voltaire, precisiamo) lo apprezzerebbe.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Disco Inferno
Anno di pubblicazione: 1994
Nazionalità: UK
I Disco Inferno si danno al pop. Certo, per quanto si possa dare al pop un gruppo di musica industruale. Cut-up, rumorismi, ritmi percussivi e martellanti e simili amenità. Per quanto riguarda il pop, ve ne è una sottilissima venatura easy-listening nell'iniziale In Sharky Water (che è comunque la più danzereccia); questa venatura si ispessisce sempre di più fino ad arrivare a A Whole Wide World Ahead che è probabilmente un ottimo compromesso tra le due soluzioni. L'idea è molto carina e le soluzioni pure (grazie anche a qualche ritmo trascinante), soprattutto considerato l'anno di pubblicazione. Dubito però che chi non avesse un minimo di interesse nel panorama industrial (quello inglese che fa capo a gruppi come i Cabaret Voltaire, precisiamo) lo apprezzerebbe.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
martedì 16 ottobre 2012
Uochi Toki - Cuore Amore Errore Disintegrazione
Titolo: Cuore Amore Errore Disintegrazione
Artista: Uochi Toki
Anno di pubblicazione: 2010
Nazionalità: Italia
Di solito non do credito a chi dice che i dischi vanno ascoltati al momento giusto. In questo caso particolare, però, mi è capitato. Cuore Amore Errore Disintegrazione è stato probabilmente il disco che avevo bisogno di sentire. Alcuni miei amici puristi avrebbero molto da discutere sull'etichetta "hip-hop" per un gruppo come loro (colpa dello stile vocale di Napo), ma non saprei come altrimenti definirli. In ogni caso io l'ho visto (non che la cosa abbia importanza, ascoltare La Recensione di Questo Disco sul più recente Idioti per capire) come un concentrato di frustrazioni post-adolescenziali cantate con una metrica particolarissima (se di metrica si può parlare) su basi alienanti e parecchio sperimentali (che si discuta di breakcore e dubsteb in uno dei brani non credo neppure sia un caso). Non c'è il tono autobiografico (?) di Laze Biose e neppure quello di narratore di Idioti (che però è a tratti davvero ostico, soprattutto per chi li Uochi Toki non li conosce e non sa cosa aspettarsi); in cambio c'è un concept sui Rapporti (se uso il maiuscolo è per riferirmi ad un pezzo di Laze Biose) descritti dal punto di vista di un mago. Davvero troppo corposo per poterne semplicemente parlare, anche perché si tratta di uno di quei dischi che ha il bene di coinvolgermi emotivamente. Vabbeh, facciamo che voi lo ascoltate sulla fiducia. O almeno vi ascoltate "gettandomi in ambigue immedesimazioni non richieste ma richieste,". Anche se dura tredici minuti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Artista: Uochi Toki
Anno di pubblicazione: 2010
Nazionalità: Italia
Di solito non do credito a chi dice che i dischi vanno ascoltati al momento giusto. In questo caso particolare, però, mi è capitato. Cuore Amore Errore Disintegrazione è stato probabilmente il disco che avevo bisogno di sentire. Alcuni miei amici puristi avrebbero molto da discutere sull'etichetta "hip-hop" per un gruppo come loro (colpa dello stile vocale di Napo), ma non saprei come altrimenti definirli. In ogni caso io l'ho visto (non che la cosa abbia importanza, ascoltare La Recensione di Questo Disco sul più recente Idioti per capire) come un concentrato di frustrazioni post-adolescenziali cantate con una metrica particolarissima (se di metrica si può parlare) su basi alienanti e parecchio sperimentali (che si discuta di breakcore e dubsteb in uno dei brani non credo neppure sia un caso). Non c'è il tono autobiografico (?) di Laze Biose e neppure quello di narratore di Idioti (che però è a tratti davvero ostico, soprattutto per chi li Uochi Toki non li conosce e non sa cosa aspettarsi); in cambio c'è un concept sui Rapporti (se uso il maiuscolo è per riferirmi ad un pezzo di Laze Biose) descritti dal punto di vista di un mago. Davvero troppo corposo per poterne semplicemente parlare, anche perché si tratta di uno di quei dischi che ha il bene di coinvolgermi emotivamente. Vabbeh, facciamo che voi lo ascoltate sulla fiducia. O almeno vi ascoltate "gettandomi in ambigue immedesimazioni non richieste ma richieste,". Anche se dura tredici minuti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Six Organs of Admittance - Nightly Trembling
Titolo: Nightly Trembling
Artista: Six Organs of Admittance
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: California, USA
Avevo citato il termine "trascendentale" in maniera scherzosa in riferiemnto a Four Tet. Per Six Organs of Admittance (pseudonimo di Ben Chasny), invece, la cosa è ben più sensata: trentasei minuti di quel folk primordiale e primitivo di scuola americana (avete presente John Fahey) diretto quasi esclusivamente dalla chitarra acustica. Atmosfere mistiche e cupe, come nella lunga (18 minuti) Redefinition Of Being (Featuring Creation Aspects Fire, Air, Water). Personalmente ho sempre trovato questo genere di musica molto affascinante, per quanto possa essere pesante se ascoltata troppo a lungo. Mettiamola così: se avete la forza di ascoltare per diciotto minuti una chitarra acustica assieme a qualcosa che somiglia ad un sitar, a tante percussioni e ad un coro che sembra preso da un rito sciamanico, allora potete ascoltare tutto l'album ( o qualunque altro album di Chasny). Se vi ritrovate costretti ad interrompere l'ascolto, lasciate perdere e riprovateci in un secondo momento. O non riprovateci mai, come vi pare. Per quel che mi riguarda è il terzo disco a nome Six Organs of Admittance che provo (dopo il debutto omonimo e Asleep on the Floodplain) ed è il primo ad avermi convinto appieno
Artista: Six Organs of Admittance
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: California, USA
Avevo citato il termine "trascendentale" in maniera scherzosa in riferiemnto a Four Tet. Per Six Organs of Admittance (pseudonimo di Ben Chasny), invece, la cosa è ben più sensata: trentasei minuti di quel folk primordiale e primitivo di scuola americana (avete presente John Fahey) diretto quasi esclusivamente dalla chitarra acustica. Atmosfere mistiche e cupe, come nella lunga (18 minuti) Redefinition Of Being (Featuring Creation Aspects Fire, Air, Water). Personalmente ho sempre trovato questo genere di musica molto affascinante, per quanto possa essere pesante se ascoltata troppo a lungo. Mettiamola così: se avete la forza di ascoltare per diciotto minuti una chitarra acustica assieme a qualcosa che somiglia ad un sitar, a tante percussioni e ad un coro che sembra preso da un rito sciamanico, allora potete ascoltare tutto l'album ( o qualunque altro album di Chasny). Se vi ritrovate costretti ad interrompere l'ascolto, lasciate perdere e riprovateci in un secondo momento. O non riprovateci mai, come vi pare. Per quel che mi riguarda è il terzo disco a nome Six Organs of Admittance che provo (dopo il debutto omonimo e Asleep on the Floodplain) ed è il primo ad avermi convinto appieno
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5 |
Kaos One - kARMA
Titolo: kARMA
Artista: Kaos One
Anno di pubblicazione: 2007
Nazionalità: Italia
Non sono esperto in materia, ma so che Kaos gode di una certa fama in Italia. Il disco è veramente notevole in ogni sua parte: testi, basi e voce, tutto va più che bene, benissimo. Lo stile vocale mi ha colpito in particolar modo, ed è in effetti la prima cosa di cui mi parlano i fan. Insomma,s ono soddisfatto. Ottima la collaborazione col Colle Der Fomento, tra le altre. Chiudo qui perché è passato un po' di tempo e non saprei bene cosa aggiungere, soprattutto visto che non si tratta di un genere a me familiare.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Kaos One
Anno di pubblicazione: 2007
Nazionalità: Italia
Non sono esperto in materia, ma so che Kaos gode di una certa fama in Italia. Il disco è veramente notevole in ogni sua parte: testi, basi e voce, tutto va più che bene, benissimo. Lo stile vocale mi ha colpito in particolar modo, ed è in effetti la prima cosa di cui mi parlano i fan. Insomma,s ono soddisfatto. Ottima la collaborazione col Colle Der Fomento, tra le altre. Chiudo qui perché è passato un po' di tempo e non saprei bene cosa aggiungere, soprattutto visto che non si tratta di un genere a me familiare.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
martedì 9 ottobre 2012
Four Tet - Rounds
Titolo: Rounds
Artista: Four Tet
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: UK
Chi mi conosce sa quanto tendenzialmente sia pronto a parlar male del fenomeno indie (questo anche perché vivo in una città in cui questo fenomeno si manifesta in maniera disgustosa). Ciononostante sono stato due sere fa ad una serata con DJ set di Dente e ora propongo l'ascolto di Rounds di Four Tet. D'accordo, mi dirà qualcuno, Four Tet non è esattamente un artista indie. Questo è vero, ma onestamente che ci sia una certa sensibilità indie dietro un disco del genere trovo che sia difficile da negare. Ad ogni modo, in questo caso non è un problema: Rounds è un disco di ottima musica elettronica perlopiù molto rilassante ed evocativa composto con grande raffinatezza, forte anche di un bel gioco di montaggio dei vari campionamenti, posti in genere in maniera tale da spezzare la monotonia dei brani e a renderl decisamente più dinamici, come nel caso di As Serious as Your Life. Un disco di quelli che possono piacere sia agli snob sia a chi ha un animo più semplice. "Trascendentale" lo definirebbe qualcuno, ironizzandoci su.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Four Tet
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: UK
Chi mi conosce sa quanto tendenzialmente sia pronto a parlar male del fenomeno indie (questo anche perché vivo in una città in cui questo fenomeno si manifesta in maniera disgustosa). Ciononostante sono stato due sere fa ad una serata con DJ set di Dente e ora propongo l'ascolto di Rounds di Four Tet. D'accordo, mi dirà qualcuno, Four Tet non è esattamente un artista indie. Questo è vero, ma onestamente che ci sia una certa sensibilità indie dietro un disco del genere trovo che sia difficile da negare. Ad ogni modo, in questo caso non è un problema: Rounds è un disco di ottima musica elettronica perlopiù molto rilassante ed evocativa composto con grande raffinatezza, forte anche di un bel gioco di montaggio dei vari campionamenti, posti in genere in maniera tale da spezzare la monotonia dei brani e a renderl decisamente più dinamici, come nel caso di As Serious as Your Life. Un disco di quelli che possono piacere sia agli snob sia a chi ha un animo più semplice. "Trascendentale" lo definirebbe qualcuno, ironizzandoci su.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
domenica 7 ottobre 2012
Emperor - Anthems to the Welkin at Dusk
Titolo: Anthems to the Welkin at Dusk
Artista: Emperor
Anno di pubblicazione: 1997
Nazionalità: Norvegia
Il più grande problema del black metal sono i metallari. Un po' come per i Queen. Nel primo caso lo dico per esperienza diretta, nel secondo per esperienza mediata. Gli Eperor sono un'istituzione nel campo, in ogni caso, al pari di gruppi come Marduk o Mayhem. Li ascolto oggi per la prima volta, se si esclude Opus a Satana (ma parliamo di una sola volta diversi anni fa) e qualcosa di Ihsahn solista. Anthems to the Welkin at Dusk, a quanto ho capito, è un caposaldo nello sviluppo di quella frangia di black metak più melodico (e non glaciale come quello degli Immortal, per dire). Immagino che non sia un caso che all'ascolto i primi due gruppi che mi sono venuti in mente siano stati Dissection e Bathory: dei primi c'è lo stile velocissimo (specie per quel che riguarda i riff di chitarra) e cupo, dei secondi la capacità di evocare atmosfere di notevole epicità (qui grazie ad un buon lavoro di tastiere). Tirando le fila abbiamo: chitarre taglienti ma pulite lanciate a velocità folli, batteria che non scade mai nel mero muro sonoro ma concorre, con l'aiuto di qualche cambio di tempo, nella creazione delle atmosfere, tastiere epiche (vede il finale di Alsvartr), scream sofferente di Ihsahn (mai sopra le righe, però) e testi intimisti e molto ben fatti. Non sarà ai livelli di Storm of the Light's Bane dei Dissection, ma vale più di un ascolto per chi vuole approfondire il panorama metal.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Emperor
Anno di pubblicazione: 1997
Nazionalità: Norvegia
Il più grande problema del black metal sono i metallari. Un po' come per i Queen. Nel primo caso lo dico per esperienza diretta, nel secondo per esperienza mediata. Gli Eperor sono un'istituzione nel campo, in ogni caso, al pari di gruppi come Marduk o Mayhem. Li ascolto oggi per la prima volta, se si esclude Opus a Satana (ma parliamo di una sola volta diversi anni fa) e qualcosa di Ihsahn solista. Anthems to the Welkin at Dusk, a quanto ho capito, è un caposaldo nello sviluppo di quella frangia di black metak più melodico (e non glaciale come quello degli Immortal, per dire). Immagino che non sia un caso che all'ascolto i primi due gruppi che mi sono venuti in mente siano stati Dissection e Bathory: dei primi c'è lo stile velocissimo (specie per quel che riguarda i riff di chitarra) e cupo, dei secondi la capacità di evocare atmosfere di notevole epicità (qui grazie ad un buon lavoro di tastiere). Tirando le fila abbiamo: chitarre taglienti ma pulite lanciate a velocità folli, batteria che non scade mai nel mero muro sonoro ma concorre, con l'aiuto di qualche cambio di tempo, nella creazione delle atmosfere, tastiere epiche (vede il finale di Alsvartr), scream sofferente di Ihsahn (mai sopra le righe, però) e testi intimisti e molto ben fatti. Non sarà ai livelli di Storm of the Light's Bane dei Dissection, ma vale più di un ascolto per chi vuole approfondire il panorama metal.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Led Zeppelin - Led Zeppelin II
Titolo: Led Zeppelin II
Artista: Led Zeppelin
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK
Sì, vabbeh, ciao. Lo conoscete, non serve che ve ne parli.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Led Zeppelin
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK
Sì, vabbeh, ciao. Lo conoscete, non serve che ve ne parli.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
venerdì 5 ottobre 2012
Bill Fay - Time of the Last Persecution
Titolo: Time of the Last Persecution
Artista: Bill Fay
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: UK
Avevo sentito parlare molto bene di Bill Fay ma onestamente mi aspettavo un disco cantautoriale abbastanza classico e probabilmente tendente al folk. Non è così. Dal punto di vista strumentale domina una chitarra elettrica dalle tinte blues che a volte sfociano con naturalezza nel rock psichedelico. Con lei un pianoforte che, al contrario, Fay suona con estrema delicatezza e una battieria che fa il suo buon lavoro. Aggiungiamoci qualche strumento aggiuntivo ogni tanto (vedi i fiati in Come a Day). Quanto ai testi, sono particolarmente difficili da interpretare e sono intrisi di religiosità e messianismo in maniera abbastanza bizzarra (vedi in Pictures of Adolf Hitler o in Let All the Others Teddies Know), oltre ad essere particolarmente immaginifici; non mi stupisce che David Tibet (Current 93) abbia pure fatto una cover della title-track (che personalmente ho trovato il pezzo migliore del disco).
C'è davvero poco del tipico cantautore degli anni '60/'70 in questo album: nessun brano raggiunge neppure i quattro minuti e, cosa ancor più sorprendente, la parte cantanta duraancora meno; in chiusura di quasi ogni pezzo, infatti, c'è una coda strumentale che sfocia in alcuni casi in dissonanze al limite del noise rock o del free jazz (Come a Day). Insomma, un disco davvero fuori dal comune.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8.5
Artista: Bill Fay
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: UK
Avevo sentito parlare molto bene di Bill Fay ma onestamente mi aspettavo un disco cantautoriale abbastanza classico e probabilmente tendente al folk. Non è così. Dal punto di vista strumentale domina una chitarra elettrica dalle tinte blues che a volte sfociano con naturalezza nel rock psichedelico. Con lei un pianoforte che, al contrario, Fay suona con estrema delicatezza e una battieria che fa il suo buon lavoro. Aggiungiamoci qualche strumento aggiuntivo ogni tanto (vedi i fiati in Come a Day). Quanto ai testi, sono particolarmente difficili da interpretare e sono intrisi di religiosità e messianismo in maniera abbastanza bizzarra (vedi in Pictures of Adolf Hitler o in Let All the Others Teddies Know), oltre ad essere particolarmente immaginifici; non mi stupisce che David Tibet (Current 93) abbia pure fatto una cover della title-track (che personalmente ho trovato il pezzo migliore del disco).
C'è davvero poco del tipico cantautore degli anni '60/'70 in questo album: nessun brano raggiunge neppure i quattro minuti e, cosa ancor più sorprendente, la parte cantanta duraancora meno; in chiusura di quasi ogni pezzo, infatti, c'è una coda strumentale che sfocia in alcuni casi in dissonanze al limite del noise rock o del free jazz (Come a Day). Insomma, un disco davvero fuori dal comune.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8.5
The Evens - The Evens
Titolo: The Evens
Artista: The Evens
Anno di pubblicazione: 2005
Nazionalità: Washington, USA
Ian MacKaye dei Fugazi alla chitarra e Amy Farina (ex The Warmers). Entrambi alla voce. I Fugazi non li ho mai ascoltati più di tanto, mentre l'altro gruppo lo sento nominare oggi per la prima volta. In ogni caso, da quel ricordo (Repeater e 13 Songs prima o poi li ascolterò con più attenzione), le sonorità dei Fugazi erano abbastanza debitrici dell'hardcore e in ogni caso erano caratterizzate da un'atmosfera al limite dell'apocalittico (in ogni caso sono un paio d'anni che non li ascolto quindi potrei sbagliarmi). Questo The Evens, invece, è un disco dalla sensibilità pop molto marcata (Minding Ones Buisness e Sara Lee) in cui però sembra sempre di sentire qualcosa di fuori posto, come se ci fossero dei passaggi strumentali sbilenchi o qualcosa d'altro. Si tratta di un lavoro particolarmente raffinato in ogni caso, sia in sede compositiva (Minding Ones Buisness ha un bellissimo arpeggio di chitarra, per esempio), sia per quel che riguarda i testi (You Wont't Feel a Thing, per esempio). Non si tratterà dell'"album dell'anno 2005" ma credo che valga la pena provarlo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: The Evens
Anno di pubblicazione: 2005
Nazionalità: Washington, USA
Ian MacKaye dei Fugazi alla chitarra e Amy Farina (ex The Warmers). Entrambi alla voce. I Fugazi non li ho mai ascoltati più di tanto, mentre l'altro gruppo lo sento nominare oggi per la prima volta. In ogni caso, da quel ricordo (Repeater e 13 Songs prima o poi li ascolterò con più attenzione), le sonorità dei Fugazi erano abbastanza debitrici dell'hardcore e in ogni caso erano caratterizzate da un'atmosfera al limite dell'apocalittico (in ogni caso sono un paio d'anni che non li ascolto quindi potrei sbagliarmi). Questo The Evens, invece, è un disco dalla sensibilità pop molto marcata (Minding Ones Buisness e Sara Lee) in cui però sembra sempre di sentire qualcosa di fuori posto, come se ci fossero dei passaggi strumentali sbilenchi o qualcosa d'altro. Si tratta di un lavoro particolarmente raffinato in ogni caso, sia in sede compositiva (Minding Ones Buisness ha un bellissimo arpeggio di chitarra, per esempio), sia per quel che riguarda i testi (You Wont't Feel a Thing, per esempio). Non si tratterà dell'"album dell'anno 2005" ma credo che valga la pena provarlo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
The Smiths - The Queen Is Dead
Titolo: The Queen Is Dead
Artista: The Smiths
Anno di pubblicazione: 1986
Nazionalità: UK
Per questo disco ho letto catalogazioni di ogni tipo. Per quel che mi riguarda,dico semplicemente che ha un'atmosfera malinconica di quelle perfette per ragazzi sui diciassette/vent'anni, un cantato molto intonato e gradevole ma che in fin dei conti non mi ha entusiasmato e una sezione strumentale abbastanza carina. Insomma, siamo più o meno ai livelli dei Cure di Disintegration. Se quello vi piacque, questo vi piacerà e viceversa. A me non è dispiaciuto, in ogni caso (Frankly, Mr. Shankly, la title-track o I Know It's Over non sono male, ad esempio). Tutti abbiamo ascoltato almeno una volta The Boy With the Thorn in His Side.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
Artista: The Smiths
Anno di pubblicazione: 1986
Nazionalità: UK
Per questo disco ho letto catalogazioni di ogni tipo. Per quel che mi riguarda,dico semplicemente che ha un'atmosfera malinconica di quelle perfette per ragazzi sui diciassette/vent'anni, un cantato molto intonato e gradevole ma che in fin dei conti non mi ha entusiasmato e una sezione strumentale abbastanza carina. Insomma, siamo più o meno ai livelli dei Cure di Disintegration. Se quello vi piacque, questo vi piacerà e viceversa. A me non è dispiaciuto, in ogni caso (Frankly, Mr. Shankly, la title-track o I Know It's Over non sono male, ad esempio). Tutti abbiamo ascoltato almeno una volta The Boy With the Thorn in His Side.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
domenica 30 settembre 2012
Fennesz - Endless Summer
Titolo: Endless Summer
Artista: Fennesz
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: Austria
Ricordate Black Sea? Ecco, toglietegli la capacità di adattarsi all'ambiente o di creare una vera e propria atmosfera e la classe con cui i glitch erano amalgamati alla musica. Insomma, si ottiene un disco di musica elettronica (con chitarra aggiunta) ambient (di quella tendenzialmente monotona, vedi in Happy Audio che però è uno dei pezzi più carini) in cui si sentono dei palesi errori di programmazione. Ora, se questo elemento può diventare un valore aggiunto (vedi appunto in Black Sea), qua la cosa non fa altro che appesantire l'ascolto (vedi un brano come Made in Hong Kong dall'andamento "a singhiozzo"). Nel male di cui parlo, però, almeno la title-track è piuttosto buona, grazie anche ad un bel lavoro di chitarra. Questo non spiega perché Endless Summer sia tra le pietre miliari di Ondarock. Non che essere pietre miliari di Ondarock voglia dire automaticamente essere un grande disco...
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
Artista: Fennesz
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: Austria
Ricordate Black Sea? Ecco, toglietegli la capacità di adattarsi all'ambiente o di creare una vera e propria atmosfera e la classe con cui i glitch erano amalgamati alla musica. Insomma, si ottiene un disco di musica elettronica (con chitarra aggiunta) ambient (di quella tendenzialmente monotona, vedi in Happy Audio che però è uno dei pezzi più carini) in cui si sentono dei palesi errori di programmazione. Ora, se questo elemento può diventare un valore aggiunto (vedi appunto in Black Sea), qua la cosa non fa altro che appesantire l'ascolto (vedi un brano come Made in Hong Kong dall'andamento "a singhiozzo"). Nel male di cui parlo, però, almeno la title-track è piuttosto buona, grazie anche ad un bel lavoro di chitarra. Questo non spiega perché Endless Summer sia tra le pietre miliari di Ondarock. Non che essere pietre miliari di Ondarock voglia dire automaticamente essere un grande disco...
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
giovedì 27 settembre 2012
Killswitch Engage - The End of the Heartache
Titolo: The End of the Heartache
Artista: Killswitch Engage
Anno di pubblicazione: 2004
Nazionalità: Massachusetts, USA
Nonostante a mio tempo sia stato uno di quegli osceni metallari senza cervello, neppure all'epoca il metyalcore mi piaceva. Ciononostante continuo a pensare che sia brutto giudicare un intero genere su una serie di ascolti casuali, così mi sono permesso di provare un disco considerato, a quanto ho capito, tra i capisaldi del genere (di certo il gruppo è un'istituzione, forse però ho sentito parlare meglio del precedente e del successivo). Non senza una certa sorpresa, posso dire che mi è piaciuto parecchio: il lavoro di batteria è molto dinamico e riesce ad essere parecchio coinvolgenete (mai monotono od imponente come certi muri di doppio pedale che mi è capitato di ascoltare), le tipiche sonorità melodiche da metalcore non mi sono sembrate minimamente gratuite e trovo che siano ben calibrate per dare all'album un certo tono cupo e opprimente (mi sono venuti in mente gli At the Gates di Slaughter of the Soul) e soprattutto il lavoro di Howard Jones dietro il microfono è ottimo soprattutto grazie all'impiego della voce pulita (vedi la title-track, forse il brano migliore del disco). Apprezzabile anche il fatto che in generale i pezzi siano di breve durata (intorno ai tre minuti). Insomma, anche per chi certe cose non le ama si tratta di un disco fatto con criterio; se la uscite del genere fossero lo standard dei buoni dischi metalcore, forse non sarebbe un genere così bistrattato.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Killswitch Engage
Anno di pubblicazione: 2004
Nazionalità: Massachusetts, USA
Nonostante a mio tempo sia stato uno di quegli osceni metallari senza cervello, neppure all'epoca il metyalcore mi piaceva. Ciononostante continuo a pensare che sia brutto giudicare un intero genere su una serie di ascolti casuali, così mi sono permesso di provare un disco considerato, a quanto ho capito, tra i capisaldi del genere (di certo il gruppo è un'istituzione, forse però ho sentito parlare meglio del precedente e del successivo). Non senza una certa sorpresa, posso dire che mi è piaciuto parecchio: il lavoro di batteria è molto dinamico e riesce ad essere parecchio coinvolgenete (mai monotono od imponente come certi muri di doppio pedale che mi è capitato di ascoltare), le tipiche sonorità melodiche da metalcore non mi sono sembrate minimamente gratuite e trovo che siano ben calibrate per dare all'album un certo tono cupo e opprimente (mi sono venuti in mente gli At the Gates di Slaughter of the Soul) e soprattutto il lavoro di Howard Jones dietro il microfono è ottimo soprattutto grazie all'impiego della voce pulita (vedi la title-track, forse il brano migliore del disco). Apprezzabile anche il fatto che in generale i pezzi siano di breve durata (intorno ai tre minuti). Insomma, anche per chi certe cose non le ama si tratta di un disco fatto con criterio; se la uscite del genere fossero lo standard dei buoni dischi metalcore, forse non sarebbe un genere così bistrattato.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
martedì 25 settembre 2012
Cancer Bats - Bears, Mayors, Scraps and Bones
Titolo: Bears, Mayors, Scraps and Bones
Artista: Cancer Bats
Anno di pubblicazione: 2010
Nazionalità: Canada
Hardcore, grind e una punta di sludge che non fa mai male. In altre parole un disco suonato a velocità folle con strumentazione iperdistorta e una voce sgolata che urla testi semi-intimisti; e c'è una cover dei Beastie Boys. Per gli appassionati di questo tipo di musica estrema si tratta di un disco imperdibile. Per i miei gusti non proprio: per quanto si tratti di un ascolto di durata normale (44 minuti), stiamo parlando di ben 14 tracce di circa tre minuti che non lasciano un attimo di respiro. Per carità, apprezzabilissimo dal punto di vista strumentale (e anche come testi non sono male), ma questo genere di sonorità le ho sempre perferite sfruttate in altra maniera (per rimanere in tema, citerei i Fucked Up)
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: Cancer Bats
Anno di pubblicazione: 2010
Nazionalità: Canada
Hardcore, grind e una punta di sludge che non fa mai male. In altre parole un disco suonato a velocità folle con strumentazione iperdistorta e una voce sgolata che urla testi semi-intimisti; e c'è una cover dei Beastie Boys. Per gli appassionati di questo tipo di musica estrema si tratta di un disco imperdibile. Per i miei gusti non proprio: per quanto si tratti di un ascolto di durata normale (44 minuti), stiamo parlando di ben 14 tracce di circa tre minuti che non lasciano un attimo di respiro. Per carità, apprezzabilissimo dal punto di vista strumentale (e anche come testi non sono male), ma questo genere di sonorità le ho sempre perferite sfruttate in altra maniera (per rimanere in tema, citerei i Fucked Up)
lunedì 24 settembre 2012
Experimental Audio Research - Beyond the Pale
Titolo: Beyond the Pale
Artista: Experimental Audio Research
Anno di pubblicazione: 1996
Nazionalità: UK
Experimental Audio Research è un gruppo aperto che fa capo a Peter Kember (membro fondatore degli Spacemen 3). Beyond the Pale fu il loro secondo album. 49 minuti di elettronica ambientale di quella che cerca di evocare uno situazione più che uno stato d'animo, con tanto di andamento "drammatico" dei brani (se lo intendiamo con presenza di momenti di tensione di rilassamento). Più che all'ambient più "tradizionale" (e qui intendo Brian Eno, Tetsu Inoue e simili), mi è venuto in mente Christian Fennesz (non per nulla l'austriaco avrebbe pubblicato il suo debutto l'anno dopo). Non è un ascolto immediatamente digeribile proprio per questo suo aspetto marcatamente sperimentale (certe sonorità ci avrebbero messo un po' per essere del tutto metabolizzate), ma se si apprezza un certto tipo di elettronica si tratta di un ascolto validissimo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Experimental Audio Research
Anno di pubblicazione: 1996
Nazionalità: UK
Experimental Audio Research è un gruppo aperto che fa capo a Peter Kember (membro fondatore degli Spacemen 3). Beyond the Pale fu il loro secondo album. 49 minuti di elettronica ambientale di quella che cerca di evocare uno situazione più che uno stato d'animo, con tanto di andamento "drammatico" dei brani (se lo intendiamo con presenza di momenti di tensione di rilassamento). Più che all'ambient più "tradizionale" (e qui intendo Brian Eno, Tetsu Inoue e simili), mi è venuto in mente Christian Fennesz (non per nulla l'austriaco avrebbe pubblicato il suo debutto l'anno dopo). Non è un ascolto immediatamente digeribile proprio per questo suo aspetto marcatamente sperimentale (certe sonorità ci avrebbero messo un po' per essere del tutto metabolizzate), ma se si apprezza un certto tipo di elettronica si tratta di un ascolto validissimo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
domenica 23 settembre 2012
Ani DiFranco - Out of Range
Titolo: Out of Range
Artista: Ani DiFranco
Anno di pubblicazione: 1994
Nazionalità: New York, USA
Cantautorato americano al femminile. C'è PJ Harvey, c'è Lydia Lunch, c'è Lisa Germano, c'è Leslie Feist e ce ne sono mille altre. Tutte si accomunao per il realismno dei loro testi e per le tematiche trattate. Queste tematiche sono spesso al limite del femminismo. Non che la cosa sia necessariamente un male, ma va presa in considerazione. Out of Range si fa notare per un impianto acustico tendenzialmente folk, non si fa mancare qualche suggestione da big band (How Have You Been che mi ricorda Laura Nyro), ci sono le ballate strappalacrime (Overlap, Letter to John e You Had Time) e i pezzi più irruenti (Face Up and Sing e soprattutto le due versioni della title-track), insomma c'è tutto quello che un disco cantautoriale dovrebbe avere. Privo della pesantezza di una Lisa Germano o di una PJ Harvey ma la cosa è positiva.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Ani DiFranco
Anno di pubblicazione: 1994
Nazionalità: New York, USA
Cantautorato americano al femminile. C'è PJ Harvey, c'è Lydia Lunch, c'è Lisa Germano, c'è Leslie Feist e ce ne sono mille altre. Tutte si accomunao per il realismno dei loro testi e per le tematiche trattate. Queste tematiche sono spesso al limite del femminismo. Non che la cosa sia necessariamente un male, ma va presa in considerazione. Out of Range si fa notare per un impianto acustico tendenzialmente folk, non si fa mancare qualche suggestione da big band (How Have You Been che mi ricorda Laura Nyro), ci sono le ballate strappalacrime (Overlap, Letter to John e You Had Time) e i pezzi più irruenti (Face Up and Sing e soprattutto le due versioni della title-track), insomma c'è tutto quello che un disco cantautoriale dovrebbe avere. Privo della pesantezza di una Lisa Germano o di una PJ Harvey ma la cosa è positiva.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
mercoledì 12 settembre 2012
D.O.A. - The Black Spot
Titolo: The Black Spot
Artista: D.O.A.
Anno di pubblicazione: 1995
Nazionalità: Canada
Hardcore punk veloce e pulito, dalla ritmica trascinante e dotato di un cantante di carisma dal timbro gutturale che ricorda un po' quello di Jello Biafra (senza il suo carisma e la sua vena di follia, però). Con l'aggiunta di testi ironici. Insomma, ha tutto quello che si potrebbe desiderare da un disco hardcore. Fa il suo compito e lo fa bene. Senza esagerare.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: D.O.A.
Anno di pubblicazione: 1995
Nazionalità: Canada
Hardcore punk veloce e pulito, dalla ritmica trascinante e dotato di un cantante di carisma dal timbro gutturale che ricorda un po' quello di Jello Biafra (senza il suo carisma e la sua vena di follia, però). Con l'aggiunta di testi ironici. Insomma, ha tutto quello che si potrebbe desiderare da un disco hardcore. Fa il suo compito e lo fa bene. Senza esagerare.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Unsane - Wreck
Titolo: Wreck
Artista: Unsane
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: New York, USA
Mi si obietterà che non ha poi molto senso com inciare ad ascoltare un gruppo con la loro ultima uscita, a dodici anni dal loro debutto. Mi spiace, il problema è che ho colto al volo l'occasione quando ho visto questa mano insanguinata in un negozio che vive di acquirenti di tutt'altro tipo (in effetti continuo a non capire perché là dentro ci sia anche una sezione metal). In ogni caso, per venire al disco in sé, Wreck è un disco di quelli che colpisco l'ascoltatore con una violenza inaudita grazie ad un suono estremo che unisce la brutalità dell'hardcore con il grezzume che esce da certi dischi noise degli anni '90. Più una certa tendenza a sonorità morbose e impastate che riportano alla mente subito i Flipper (e non è un caso che ci sia una cover di Ha Ha Ha in chiusura). La voce di CHris Spencer mi ha colpito molto: di solito gli urlatori non li gradisco particolarmente (David Yow è un caso a parte), ma nel caso specifico la sua prestazione vocale, al limite dell'agonia, fortifica parecchio l'atmosfera morbosa che emerge da tutto il disco (booklet compreso). Questo ovviamente non spiega la presenza di Stuck, unico brano di media lunghezza (sei minuti circa) che sembra un perverso incorcio tra Slint e Flipper. Uno dei pezzi migliori dell'album, tra l'altro.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Unsane
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: New York, USA
Mi si obietterà che non ha poi molto senso com inciare ad ascoltare un gruppo con la loro ultima uscita, a dodici anni dal loro debutto. Mi spiace, il problema è che ho colto al volo l'occasione quando ho visto questa mano insanguinata in un negozio che vive di acquirenti di tutt'altro tipo (in effetti continuo a non capire perché là dentro ci sia anche una sezione metal). In ogni caso, per venire al disco in sé, Wreck è un disco di quelli che colpisco l'ascoltatore con una violenza inaudita grazie ad un suono estremo che unisce la brutalità dell'hardcore con il grezzume che esce da certi dischi noise degli anni '90. Più una certa tendenza a sonorità morbose e impastate che riportano alla mente subito i Flipper (e non è un caso che ci sia una cover di Ha Ha Ha in chiusura). La voce di CHris Spencer mi ha colpito molto: di solito gli urlatori non li gradisco particolarmente (David Yow è un caso a parte), ma nel caso specifico la sua prestazione vocale, al limite dell'agonia, fortifica parecchio l'atmosfera morbosa che emerge da tutto il disco (booklet compreso). Questo ovviamente non spiega la presenza di Stuck, unico brano di media lunghezza (sei minuti circa) che sembra un perverso incorcio tra Slint e Flipper. Uno dei pezzi migliori dell'album, tra l'altro.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
domenica 26 agosto 2012
Daniel Givens - Age
Titolo: Age
Artista: Daniel Givens
Anno di pubblicazione: 2000
Nazionalità: Illinois, USA
In casi come questo credo che si possa parlare di commistioni tra jazz ed elettronica senza grossa tema di smentita. Non in tutto il disco (che tra l'altro dura un'ora e dieci minuti) è individuabile l'elemento jazzistico (vedi nell'iniziale Allies che è un testo recitato su una base elettronica), ma un pezzo come Acknowledgement sfrutta il sintetizzatore stesso come uno strumento d'improvvisazione jazzistico con esiti che, se proprio non si vogliono apprezzare, bisogna almeno riconoscere che sono notevoli. Si sente parecchio che si tratta di un musicista nero (come anche per DJ /rupture, del resto) soprattutto per l'uso della voce e certi effetti tribali che fanno molto "Mamma Africa" (vedi in Rotation), ma la cosa non è minimamente negativa. Si tratta di una segnalazione in più. Se si cerca un disco di musica elettronica sui generis e dotato di una personalità bella forte, ecco, Age di Daniel Givens è senza dubbio il disco che fa per voi. Davvero notevole.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Daniel Givens
Anno di pubblicazione: 2000
Nazionalità: Illinois, USA
In casi come questo credo che si possa parlare di commistioni tra jazz ed elettronica senza grossa tema di smentita. Non in tutto il disco (che tra l'altro dura un'ora e dieci minuti) è individuabile l'elemento jazzistico (vedi nell'iniziale Allies che è un testo recitato su una base elettronica), ma un pezzo come Acknowledgement sfrutta il sintetizzatore stesso come uno strumento d'improvvisazione jazzistico con esiti che, se proprio non si vogliono apprezzare, bisogna almeno riconoscere che sono notevoli. Si sente parecchio che si tratta di un musicista nero (come anche per DJ /rupture, del resto) soprattutto per l'uso della voce e certi effetti tribali che fanno molto "Mamma Africa" (vedi in Rotation), ma la cosa non è minimamente negativa. Si tratta di una segnalazione in più. Se si cerca un disco di musica elettronica sui generis e dotato di una personalità bella forte, ecco, Age di Daniel Givens è senza dubbio il disco che fa per voi. Davvero notevole.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
DJ /rupture - Uproot
Titolo: Uproot
Artista: DJ /rupture
Anno di pubblicazione: 2008
Nazionalità: New York, USA
Avevo deciso di ascoltare questo disco perché spinto dalla copertina, ma in tutta onestà si è fatto apprezzare abbastanza poco: forse è l'influenza reggae parecchio marcata che non è certo tra le cose che preferisco o forse qualcosa d'altro, ma in generale mi è sembrato un disco di elettronica buono ma senza mordente, con delle idee ma privo della capacità di farti interessare ad esse. Insomma, come se mancasse una pur minima comunicazione tra l'artista e il pubblico. Più semplicemente, potrei avere scelto un luogo inadatto all'ascolto, visto che, riascoltandolo in sede di scrittura mi sembra un poco più interessante. Forse gli concederò un altro ascolto, in futuro. Ah, per chi volesse farsi comunque un'idea di cosa andrà ad ascoltare, è un misto di elettronica parecchio ritmata e reggae con una qualche spruzzata di hip hop nelle parti cantate che si adatta molto bene alle "basi". Dal punto di vista della produzione mi sembra ottimo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: DJ /rupture
Anno di pubblicazione: 2008
Nazionalità: New York, USA
Avevo deciso di ascoltare questo disco perché spinto dalla copertina, ma in tutta onestà si è fatto apprezzare abbastanza poco: forse è l'influenza reggae parecchio marcata che non è certo tra le cose che preferisco o forse qualcosa d'altro, ma in generale mi è sembrato un disco di elettronica buono ma senza mordente, con delle idee ma privo della capacità di farti interessare ad esse. Insomma, come se mancasse una pur minima comunicazione tra l'artista e il pubblico. Più semplicemente, potrei avere scelto un luogo inadatto all'ascolto, visto che, riascoltandolo in sede di scrittura mi sembra un poco più interessante. Forse gli concederò un altro ascolto, in futuro. Ah, per chi volesse farsi comunque un'idea di cosa andrà ad ascoltare, è un misto di elettronica parecchio ritmata e reggae con una qualche spruzzata di hip hop nelle parti cantate che si adatta molto bene alle "basi". Dal punto di vista della produzione mi sembra ottimo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Nerorgasmo - Nerorgasmo
Titolo: Nerorgasmo
Artista: Nerorgasmo
Anno di pubblicazione: 1993
Nazionalità: Italia
Appunto, la scena hardcore di Torino. Punk hardcore nichilista e opprimente, con qualcosa che mi ricorda gli Swell Maps. Tra i migliori album italiani di sempre. Niente altro da dire.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9
Artista: Nerorgasmo
Anno di pubblicazione: 1993
Nazionalità: Italia
Appunto, la scena hardcore di Torino. Punk hardcore nichilista e opprimente, con qualcosa che mi ricorda gli Swell Maps. Tra i migliori album italiani di sempre. Niente altro da dire.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9
Cibo - Appetibile
Titolo: Appetibile
Artista: Cibo
Anno di pubblicazione: 2005
Nazionalità: Italia
Sono di Torino. Torino è famosa per i Subsonica, è vero. Non dimentichiamoci però che Torino vanta anche una tradizione di punk hardcore coi cosiddetti controcoglioni. Ecco, i Cibo sono uno dei gruppi hardcore della mia città appartenenti al decennio passato (come gli Arsenico, del resto). Testi demenziali (se li riuscitre a seguire, visto che lo stile vocale non è esattamente dei più comprensibili, con quel misto di growl e srcream) su ritmiche serrate e uno stile musicale al limite del grindcore. In realtà mi piacciono e non so perché, visto che il grind tendo a non digerirlo. Sarà perch sono uno dei pochi gruppi che ho avuto il piacere di vedere live.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: Cibo
Anno di pubblicazione: 2005
Nazionalità: Italia
Sono di Torino. Torino è famosa per i Subsonica, è vero. Non dimentichiamoci però che Torino vanta anche una tradizione di punk hardcore coi cosiddetti controcoglioni. Ecco, i Cibo sono uno dei gruppi hardcore della mia città appartenenti al decennio passato (come gli Arsenico, del resto). Testi demenziali (se li riuscitre a seguire, visto che lo stile vocale non è esattamente dei più comprensibili, con quel misto di growl e srcream) su ritmiche serrate e uno stile musicale al limite del grindcore. In realtà mi piacciono e non so perché, visto che il grind tendo a non digerirlo. Sarà perch sono uno dei pochi gruppi che ho avuto il piacere di vedere live.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Fennesz - Black Sea
Titolo: Black Sea
Artista: Fennesz
Anno di pubblicazione: 2008
Nazionalità: Austria
Di quest'album avevo ascoltato qualche pezzo distrattamente alcuni anni fa, ma non ci avevo dato molto peso. Riprendendolo dopo un certo tempo mi sono reso conto che si tratta invece di un disco davvero ben fatto, in cui momenti di sonorità dense e stratificate si alternano con grande naturalezza a passaggi distesi con una chitarra che pizzica poche note e un tappeto elettronico soffuso che non ruba la scena. Fin qui parrebbe un disco ambient abbastanza classico (al massimo un buon disco ambient ma nulla più). A piacermi in particolar modo sono i frequenti errori del software che si concretizzano in suoni che poco hanno a che fare con quanto si sta ascoltando ma che Fennesz riesce a montare in maniera tale da renderli perfettamente coerenti col resto. Al di là di tutte le spiegazioni incomprensibili, credo che valga decisamente la pena ascoltarlo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Artista: Fennesz
Anno di pubblicazione: 2008
Nazionalità: Austria
Di quest'album avevo ascoltato qualche pezzo distrattamente alcuni anni fa, ma non ci avevo dato molto peso. Riprendendolo dopo un certo tempo mi sono reso conto che si tratta invece di un disco davvero ben fatto, in cui momenti di sonorità dense e stratificate si alternano con grande naturalezza a passaggi distesi con una chitarra che pizzica poche note e un tappeto elettronico soffuso che non ruba la scena. Fin qui parrebbe un disco ambient abbastanza classico (al massimo un buon disco ambient ma nulla più). A piacermi in particolar modo sono i frequenti errori del software che si concretizzano in suoni che poco hanno a che fare con quanto si sta ascoltando ma che Fennesz riesce a montare in maniera tale da renderli perfettamente coerenti col resto. Al di là di tutte le spiegazioni incomprensibili, credo che valga decisamente la pena ascoltarlo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Tetsu Inoue - Ambiant Otaku
Titolo: Ambiant Otaku
Artista: Tetsu Inoue
Anno di pubblicazione: 1994
Nazionalità: Giappone
Tetsu Inoue l'avevo ascoltato solo in collaborazione con Bill Laswell e Atom Heart in un disco decisamente mediocre. Ambiant Otaku è decisamente più interessante: cinque tracce di durata compresa tra i dieci e i venti minuti di elettronica dilatata e continua in cui i vari elementi passano dall'essere semplice rumore di fondo al primo piano per essere poi soffocati da altri brandelli di suono. La cosa risulta molto suggestiva alle mie orecchie innamorate di Tangerine Dream, Ash Ra Tempel e simili ma non posso non notare come in fin dei conti sappia un po' di già sentito. Se fosse uscito anche solo dieci anni prima sarebbe stato un lavoro eccezionale. Per essere un album del '94 è comunque un discone, ma non lo consiglierei mai ad un non appassioanto. Per dirla in breve, lo definirei la quintessenza di quell'ambient che quando lo ascolti ti fa fluttuare nel vuoto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Tetsu Inoue
Anno di pubblicazione: 1994
Nazionalità: Giappone
Tetsu Inoue l'avevo ascoltato solo in collaborazione con Bill Laswell e Atom Heart in un disco decisamente mediocre. Ambiant Otaku è decisamente più interessante: cinque tracce di durata compresa tra i dieci e i venti minuti di elettronica dilatata e continua in cui i vari elementi passano dall'essere semplice rumore di fondo al primo piano per essere poi soffocati da altri brandelli di suono. La cosa risulta molto suggestiva alle mie orecchie innamorate di Tangerine Dream, Ash Ra Tempel e simili ma non posso non notare come in fin dei conti sappia un po' di già sentito. Se fosse uscito anche solo dieci anni prima sarebbe stato un lavoro eccezionale. Per essere un album del '94 è comunque un discone, ma non lo consiglierei mai ad un non appassioanto. Per dirla in breve, lo definirei la quintessenza di quell'ambient che quando lo ascolti ti fa fluttuare nel vuoto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
America Addio - Cotton Kingdom
Titolo: Cotton Kingdom
Artista: America Addio
Anno di pubblicazione: 2010
Nazionalità: ?
Chiamatela indietronica, se volete. Per me si tratta ancora e comunque di synth pop di quello che ci avevano proposto i Kraftwerk (The Man Machine) o gli Ultravox (Vienna). Non pensiate però che si tratti semplicemente di uno sterile revival: in realtà la proposta, per quanto già sentita molte volte, può vantarsi di essere perfettamente aggiornata al decennio corrente grazie ad una sensibilità indie marcata ma non eccessiva e soprattutto all'influenza notevole di drum n' bass che personalmente mi ricorda i Pendulum di Immersion (come nella conclusiva Untitled). Insomma, non esattamente un disco banale e stereotipato, anzi, ha anche una certa personalità, ma nulla che gli possa far pensare di svettare sopra altri ibridi di indie rock ed elettronica venuti prima (MGMT su tutti). Buono ma non eccezionale.
Artista: America Addio
Anno di pubblicazione: 2010
Nazionalità: ?
Chiamatela indietronica, se volete. Per me si tratta ancora e comunque di synth pop di quello che ci avevano proposto i Kraftwerk (The Man Machine) o gli Ultravox (Vienna). Non pensiate però che si tratti semplicemente di uno sterile revival: in realtà la proposta, per quanto già sentita molte volte, può vantarsi di essere perfettamente aggiornata al decennio corrente grazie ad una sensibilità indie marcata ma non eccessiva e soprattutto all'influenza notevole di drum n' bass che personalmente mi ricorda i Pendulum di Immersion (come nella conclusiva Untitled). Insomma, non esattamente un disco banale e stereotipato, anzi, ha anche una certa personalità, ma nulla che gli possa far pensare di svettare sopra altri ibridi di indie rock ed elettronica venuti prima (MGMT su tutti). Buono ma non eccezionale.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6
domenica 29 luglio 2012
Aesop Rock - Labor Days
Titolo: Labor Days
Artista: Aesop Rock
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: New York, USA
Come già detto per i Company Flow, non sono un esperto di hip hop. Cinonostante, questo disco è fenomenale, a partire dai testi, immaginifici senza dubbio ma comunque relativamente comprensibili e un po' misantropi, passando per il modo di "cantare" (mi piace tanto il suo tono di voce quanto la sua capacità di cambiare ritmica da un brano all'altro pur mantenendo una forte personalità) e arrivando fino alle basi, forse tra le migliori che mi sia capitato di ascoltare. Sulle basi nello specifico, se già in media sanno essere estremamente raffinate ed orecchiabili (tanto da farmi venire in mente Aphex Twin o altra roba IDM), quando ad esse si aggiungono campionamenti vari (come i fiati e la batteria in Battery), diventano assolutamente eccezionali. Insomma, un disco che merita un ascolto più che approfondito. Mi scuso per il pessimo linguaggio.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Artista: Aesop Rock
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: New York, USA
Come già detto per i Company Flow, non sono un esperto di hip hop. Cinonostante, questo disco è fenomenale, a partire dai testi, immaginifici senza dubbio ma comunque relativamente comprensibili e un po' misantropi, passando per il modo di "cantare" (mi piace tanto il suo tono di voce quanto la sua capacità di cambiare ritmica da un brano all'altro pur mantenendo una forte personalità) e arrivando fino alle basi, forse tra le migliori che mi sia capitato di ascoltare. Sulle basi nello specifico, se già in media sanno essere estremamente raffinate ed orecchiabili (tanto da farmi venire in mente Aphex Twin o altra roba IDM), quando ad esse si aggiungono campionamenti vari (come i fiati e la batteria in Battery), diventano assolutamente eccezionali. Insomma, un disco che merita un ascolto più che approfondito. Mi scuso per il pessimo linguaggio.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8
Bert Jansch - Bert Jansch
Titolo: Bert Jansch
Artista: Bert Jansch
Anno di pubblicazione: 1965
Nazionalità: UK
Scozia, per la precisione, con buona pace di una certa citazione di Trainspotting. Visto che un attimo prima si sono citati i Pentangle a proposito dei Fairport Convention, rimaniamo in tema e segnaliamo il primo disco solista di Bert Jansch, chitarrista, appunto, dei Pentangle. Quindici brani di breve durata (si va dai quattro minuti al minuto scarso) equamente distribuiti tra strumentali per chitarra acustica e pezzi cantautoriali. Di solito si cita Needle of Death che è effettivamente uno dei brani migliori, ma devo dire di avere apprezzato parecchio Running from Home o Rambling's Gonna Be the Death of Me. Quanto alle strumentali, va detto che Jansch è uno di quei chitarristi capaci di oscurare buona parte dei chitarristi più blasonati; Alice's Wonderland, Smokey River e Angie sono tre ottimi esempi di quanto sto dicendo. Per essere un disco di folk cantautoriale per sola voce e chitarra acustica, devo dire che è davvero molto bello.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Bert Jansch
Anno di pubblicazione: 1965
Nazionalità: UK
Scozia, per la precisione, con buona pace di una certa citazione di Trainspotting. Visto che un attimo prima si sono citati i Pentangle a proposito dei Fairport Convention, rimaniamo in tema e segnaliamo il primo disco solista di Bert Jansch, chitarrista, appunto, dei Pentangle. Quindici brani di breve durata (si va dai quattro minuti al minuto scarso) equamente distribuiti tra strumentali per chitarra acustica e pezzi cantautoriali. Di solito si cita Needle of Death che è effettivamente uno dei brani migliori, ma devo dire di avere apprezzato parecchio Running from Home o Rambling's Gonna Be the Death of Me. Quanto alle strumentali, va detto che Jansch è uno di quei chitarristi capaci di oscurare buona parte dei chitarristi più blasonati; Alice's Wonderland, Smokey River e Angie sono tre ottimi esempi di quanto sto dicendo. Per essere un disco di folk cantautoriale per sola voce e chitarra acustica, devo dire che è davvero molto bello.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Fairport Convention - Liege & Lief
Titolo: Liege & Lief
Artista: Fairport Convention
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK
Visto, che la carta del collegamento è quella che mi piace di più quando si parla di musica, mi sembra doveroso notare che il 1969 è anche l'anno di pubblicazion dei Basket of Light dei Pentangle. Non è certo un dato messo lì a caso: tanto i Pentangle quanto i Fairport Convention appartengono al filone del revival folk inglese di fine anni '60. Chiaramente le differenze ci sono e sono notevoli (lo stile di Basket of Light è influenzato dal jazz, per esempio), ma questa prima verità è incontrovertibile, senza dimenticare che entrambi i gruppi hanno una cantante. Liege & lief è uno di quei dischi di cui spesso si sente parlare in termini parecchio lusinghieri, ma onestamente non vedo il motivo di tutto ciò: senza dubbio è un disco con un certo fascino sia per quel che riguarda i testi (che però per buona parte sono tradizionali) sia per quel che riguarda la musica (e in quel caso basterebbe ascoltare Medley), ma a parte quealche pezzo (la già citata Medley e Matty Groves sono state le uniche due a colpirmi davvero) il disco mi suona decisamente monotono e abbastanza poco originale. Certo, la cosa può anche dipendere dal fatto che la mia conoscenza dei Pentangle risale a diversi anni fa, ma di certo non sta tutto lì. Insomma, una mezza delusione, ma se si apprezza il folk rock dalle tinte medievali, questo è un ascolto consigliato.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Fairport Convention
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK
Visto, che la carta del collegamento è quella che mi piace di più quando si parla di musica, mi sembra doveroso notare che il 1969 è anche l'anno di pubblicazion dei Basket of Light dei Pentangle. Non è certo un dato messo lì a caso: tanto i Pentangle quanto i Fairport Convention appartengono al filone del revival folk inglese di fine anni '60. Chiaramente le differenze ci sono e sono notevoli (lo stile di Basket of Light è influenzato dal jazz, per esempio), ma questa prima verità è incontrovertibile, senza dimenticare che entrambi i gruppi hanno una cantante. Liege & lief è uno di quei dischi di cui spesso si sente parlare in termini parecchio lusinghieri, ma onestamente non vedo il motivo di tutto ciò: senza dubbio è un disco con un certo fascino sia per quel che riguarda i testi (che però per buona parte sono tradizionali) sia per quel che riguarda la musica (e in quel caso basterebbe ascoltare Medley), ma a parte quealche pezzo (la già citata Medley e Matty Groves sono state le uniche due a colpirmi davvero) il disco mi suona decisamente monotono e abbastanza poco originale. Certo, la cosa può anche dipendere dal fatto che la mia conoscenza dei Pentangle risale a diversi anni fa, ma di certo non sta tutto lì. Insomma, una mezza delusione, ma se si apprezza il folk rock dalle tinte medievali, questo è un ascolto consigliato.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
sabato 28 luglio 2012
Red House Painters - Down Colourful Hill
Titolo: Down Colourful Hill
Artista: Red House Painters
Anno di pubblicazione: 1992
Nazionalità: California, USA
Mi pento amaramente di non avere mai ascoltato questo disco prima d'ora. Non vale neppure particolarmente la pena parlarne in maniera diffusa, più che altro perché appartiene a quella categoria di album che riescono ad arrivare in profondità. Rock ridotto ai minimi termini (chitarre acustiche, basso e batteria), ripetitivo nell'unica accezione positiva possibile del termine (bisogna ascoltare la title-track o medicine Bottle per capire cosa intendo) ed infinitamente triste. Se proprio volete un paragone, il mio istinto me lo fa paragonare contemporaneamente a Spideralnd degli Slint e a Good dei Morphine, ma è una semplice approssimazione. Su dischi del genere dare un parere mi è pressoché impossibile.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9.5
Artista: Red House Painters
Anno di pubblicazione: 1992
Nazionalità: California, USA
Mi pento amaramente di non avere mai ascoltato questo disco prima d'ora. Non vale neppure particolarmente la pena parlarne in maniera diffusa, più che altro perché appartiene a quella categoria di album che riescono ad arrivare in profondità. Rock ridotto ai minimi termini (chitarre acustiche, basso e batteria), ripetitivo nell'unica accezione positiva possibile del termine (bisogna ascoltare la title-track o medicine Bottle per capire cosa intendo) ed infinitamente triste. Se proprio volete un paragone, il mio istinto me lo fa paragonare contemporaneamente a Spideralnd degli Slint e a Good dei Morphine, ma è una semplice approssimazione. Su dischi del genere dare un parere mi è pressoché impossibile.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9.5
giovedì 26 luglio 2012
Portugal. The Man - The Satanic Satanist
Titolo: The Satanic Satanist
Artista: Portugal. The Man
Anno di pubblicazione: 2009
Nazionalità: Alaska, USA
Non posso dire di essere un amante della musica indie, non fosse per altro, perché vivo in una città in cui tale moda si fa sentire troppo spesso, specialmente nell'ambiente universitario (conoscete i Foxhound?). Ciononostante, anche in quel panorama musicale ci sono gruppi degni di nota (e non nego di essere stato a suo tempo, tra le altre cose, un fan degli Arctic Monkeys più cazzoni): di solito si citano Wilco e TV on the Radio, ma personalmente apprezzo particolarmente i Portugal. The Man. In realtà ho una discussione aperta sulla loro effettiva ascrivibilità al genere (dovuta immagino a certe somiglianze con i Mars Volta), ma nonostante una innegabile vena progressiva io continuo a considerarli un gruppo indie rock. Un po' fuori dagli schemi, magari, ma pur sempre indie rock. Venendo a The Satanic Satanist, è il loro quarto disco (quinto, se vogliamo considerare l'EP It's Complicated Being a Wizard un album vero e proprio per la sua durata di 46 minuti) e può lasciare stupiti ad un primo ascolto: se si esclude la vena blues di Church Mouth (2007), i precedenti album dei Portugal. The Man si facevano notare più per un eclettismo al limite della schizofrenia (oltre che per la voce androgina del cantante) che per altro. The Satanic Satanist è, invece, un disco che sembra uscito direttamente dagli anni '60: undici brevi canzonette psichedeliche (la media è di poco più di tre minuti) di quelle che potevano fare i primissimi Jefferson Airplane (o i Doors, se consideriamo un pezzo come The Home) unite alla visione dell'indie rock dei TV on the Radio di Return to Cookie Mountain. Per quanto ben suonato e prodotto, però, la cosa non può non suonarmi un po' gratuita. Non conosco tutta la loro discografia, ma di quel che ho ascoltato è il disco peggiore. Con la differenza che pagherei perché i peggiori dischi di indie rock (?) fossero così.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5
Artista: Portugal. The Man
Anno di pubblicazione: 2009
Nazionalità: Alaska, USA
Non posso dire di essere un amante della musica indie, non fosse per altro, perché vivo in una città in cui tale moda si fa sentire troppo spesso, specialmente nell'ambiente universitario (conoscete i Foxhound?). Ciononostante, anche in quel panorama musicale ci sono gruppi degni di nota (e non nego di essere stato a suo tempo, tra le altre cose, un fan degli Arctic Monkeys più cazzoni): di solito si citano Wilco e TV on the Radio, ma personalmente apprezzo particolarmente i Portugal. The Man. In realtà ho una discussione aperta sulla loro effettiva ascrivibilità al genere (dovuta immagino a certe somiglianze con i Mars Volta), ma nonostante una innegabile vena progressiva io continuo a considerarli un gruppo indie rock. Un po' fuori dagli schemi, magari, ma pur sempre indie rock. Venendo a The Satanic Satanist, è il loro quarto disco (quinto, se vogliamo considerare l'EP It's Complicated Being a Wizard un album vero e proprio per la sua durata di 46 minuti) e può lasciare stupiti ad un primo ascolto: se si esclude la vena blues di Church Mouth (2007), i precedenti album dei Portugal. The Man si facevano notare più per un eclettismo al limite della schizofrenia (oltre che per la voce androgina del cantante) che per altro. The Satanic Satanist è, invece, un disco che sembra uscito direttamente dagli anni '60: undici brevi canzonette psichedeliche (la media è di poco più di tre minuti) di quelle che potevano fare i primissimi Jefferson Airplane (o i Doors, se consideriamo un pezzo come The Home) unite alla visione dell'indie rock dei TV on the Radio di Return to Cookie Mountain. Per quanto ben suonato e prodotto, però, la cosa non può non suonarmi un po' gratuita. Non conosco tutta la loro discografia, ma di quel che ho ascoltato è il disco peggiore. Con la differenza che pagherei perché i peggiori dischi di indie rock (?) fossero così.
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