venerdì 13 settembre 2013

Portugal. The Man - Waiter: "You Vultures!"

Titolo: Waiter: "You Vultures!"
Artista: Portugal. The Man
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: Alaska, USA

Quello che mi piace particolarmente dei Portugal. The Man è la loro capacità di suonare molto personali pure quando si confrontano con scene musicali piuttosto codificate. Così Church Mouth può benissimo essere letto come una loro rivisitazione del blues e The Satanic Satanist come un omaggio (ancor più palese) alla scena psichedelica degli anni '60.
Waiter: "You Vultures!" fu il loro primo album e le coordinate stilistiche sono in questo caso prevalentemente quei gruppi alternative americani che si sono lasciati influenzare e dal rock progressivo e dall'emo. At the Drive-In su tutti e non credo sia un caso che tanto questo quanto il successivo Church Mouth siano usciti per la stessa casa discografica di Relationship of Command.
Si tratta di un album in cui, per quanto sia già evidente dove andranno a parare in seguito questi ragazzi (una parte del testo di How the Leopard Got His Spots sarà il leitmotiv vocale di It's Complicated Being a Wizard) la matrice sonora di riferimento occupa un posto importante al punto che, assieme alle linee vocali androGine caratteristiche del gruppo possiamo ascoltare momenti di canto sgolato in perfetto stile emo assieme a sprazzi di schizofrenia abrasiva che in seguito sarà completamente trasfigurata.
Rispetto ai dischi successivi, caratterizzati da uno stile eclettico e "bizzarro" ma sempre molto elegante e posato, Waiter: "You Vultures!" suona decisamente più viscerale.
Epperò se si va ad ascolare la conclusione Guns... Guns... Guns, colla sua sovrapposizione di distorsioni elettroniche, piano jazz e un discorso campionato mi chiedo se non abbiano comunque perso qualcosa, nonostante tutto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5

mercoledì 11 settembre 2013

Earth - Angels of Darkness, Demons of Light II

Titolo: Angels of Darkness, Demons of Light II
Artista: Earth
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: Washington

Comincio il discorso con un'ammissione di ignoranza: non ho mai ascoltato i dischi che si citano generalmente  come capolavori degli Earth (i loro primi album).
Ciò detto, Angels of Darkness, Demons of Light II prosegue il discorso dal punto in cui si era fermato il precedente Angels of Darkness, Demons of Light I. Non che il titolo non ce lo facesse pensare, in effetti...
Come nel disco precedente, la quasi totalità dei brani (se escludiamo l'iniziale Sigil of Brass di tre minuti) è decisamente lunga, assestandosi su una media di 10 minuti. Non si arriva tuttavia ai 20 di Angels of Darkness, Demons of Light I (la traccia, non il disco).
Cosa succede in questi pezzi? Assolutamente niente. Non hanno il normale andamento di un pezzo rock, anzi, sono composti da linee strumentali opprimenti ed ossessive che si reggono su un uso della strumentazione molto più ritmico che melodico (vedi anche il lavoro di chitarra). Con l'aggiunta di un violino più stridente che melodioso. Pare che questo voglia portare da qualche parte e invece non è così.
Non è che tutto questo sia gratuito, però: ormai sono decenni che conosciamo il post rock e conosciamo lo stoner e conosciamo il doom e conosciamo il drone (anzi, il drone lo conosciamo anche grazie a loro), quindi sarebbe abbastanza stupido criticare a priori un disco che segue queste coordinate. Mi limiterò allora a parlare delle mie impressioni:
Probabilmente mi faccio influenzare dalla copertina ma il disco (i dischi) l'ho recepito come una colonna sonora per un viaggio notturno nel deserto americano accompagnato da Gluskap e qualche sostanza psicotropa. Banale? Molto. Comunque ho apprezzato lo stesso l'impasto sonoro.
Venendo ai lati negativi: non aggiunge nulla al disco precedente. Anche nei pezzi un po' più "anomali" (A Multiplicity of Doors che si abbandona a qualche suggestione freak folk) non mi è parso di sentire nulla di nuovo, per quanto ben suonato. Nessun pezzone del calibro di Old Black che, nella sua monotonia era un piccolo capolavoro.
Vale ugualmente la pena, ma solo se associato al precedente. Altrimenti, vista la strettissima affinità tra i due, è come perdersi un pezzo. Oppure si rischia di considerarlo un po' meglio di quanto non sia in realtà.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7

martedì 10 settembre 2013

Arctic Monkeys - AM

Titolo: AM
Artista: Arctic Monkeys
Anno di pubblicazione: 2013
Nazionalità: UK

Visto che non sono mai aggiornato in tempo reale sulle nuove uscite (come si può vedere, non ci sono stati quest'anno articoli su The 2nd Law né su Colored Sands né su Random Access Memories né su tutti gli altri ritorni di quest'anno) almeno uno di questi album l'avrei voluto commentare per tempo. E avendo scoperto solo oggi che gli Arctic Monkeys han pubblicato il loro nuovo disco ieri, eccomi qui a dare la mia opinione così posso dire di aver fatto qualcosa. Per l'occasione ho pure evitato di leggere recensioni altrove.
Che gli Arctic abbiano in qualche misura dettato legge per quel che riguarda l'indie rock è una cosa che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare. Non mi soffermerò sulla loro evoluzione, che la cosa non interessa a nessuno e probabilmente c'è gente che ne può parlare meglio di me. Per limitarmi ai miei personalissimi gusti (che poi sono l'unica cosa che viene segnalata qua dentro) mi piacevano quando erano dei londinesi cazzoni nei primi due album, mi piacevano ancora di più quando Josh Homme li aveva portati in territori psichedelici e un po' americani con Humbug e con Suck It and See avevano perso gran parte del loro carisma perdendosi dietro a uno stile troppo pop e troppo americano.
Cos'è dunque AM? Gli Arctic Monkeys che ormai non han più nulla di quel piglio cazzone e scanzonato dei primi dischi, gli Arctic Monkeys che migliorano nettamente per qualità di suono (soprattutto per quel che riguarda la chitarra, prendiamo Do I Wanna Know?), gli Arctic Monkeys che DIY non han quasi più nulla e si abbandonano ad una produzione laccatissima.
Cosa intendo con queste parole? Tastiere pompose (non so per i lettori, a me quello che piaceva degli Arctic Monkeys erano soprattutto le sonorità molto grezze), melodie accattivanti e facili e soprattutto l'uso spasmodico di coretti che neppure i peggiori Muse si sognerebbero mai. Quintessenza di queste sonorità sono One for the Road (uh-uh) e soprattutto Knee Socks che, seppure durante le strofe abbia ancora il piglio da ballata à la AM, nel ritornello e peggio ancora nella seconda parte si perde in questi giochetti. Orrore orrore, questi due pezzi sono proprio quelli che vedono la presenza alla voce di Josh Homme.
D'accordo, abbiamo detto le cose brutte, veniamo ai pregi: come ho detto, trovo che dal punto di vista delle sonorità il gruppo sia comunque migliorato così come nell'effetto d'insieme (certo, questo è sicuramente anche dovuto ad una produzione migliore rispetto a un Favourite Worst Nightmare).
Anche il tentativo di andare oltre le sonorità indie più "stantie" in favore di altre soluzioni in realtà è lodevole, per quanto in questo caso i risultati migliori siano quelli in direzione più sfacciatamente psichedelica (vedi Arabella, che ho trovato il pezzo più convincente anche perché lo stile chitarristico è bello hard rock) che non "da stadio"  (R U Mine?). Aggiungiamoci un pezzo un po' più particolare come  Snap Out of It che si lascia un po' influenzare dal dak cabaret e che almeno in un paio di brani (Why'd You Only Call Me When You're High? e Mad Sounds) il gruppo riesce a trovare una cerca coesione e a non fare suonare banali neppure i coretti per voce bianca. Certo, per ogni Mad Sounds c'è una I Wanna Be Yours...
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5

lunedì 9 settembre 2013

Puscifer - V Is for Vagina

Titolo: V Is for Vagina
Artista: Puscifer
Anno di pubblicazione: 2007
Nazionalità: California, USA

Il nome di Maynard James Keenan è presumibilmente conosciuto tra chi cerca nel metal un approccio cerebrale nonostante l'uso di sonorità alternative. Ovviamente mi sto riferendo a quel gruppone che sono i Tool e non agli A Perfect Circle, i quali, per fostruna o per sfortuna, mi hanno anche fatto un po' schifo (ho provato il solo Mer De Noms e non mi ha fatto venire voglia di provare Thirteenth Step).
Spendo che si tratta di un side-project e avendolo sempre immaginato come uno di quei lavori che un musicista fa più per distrarsi che per altro, non mi ci sono avvicinato pretendendo di trovarmi tra le orecchie un altro Lateralus. Certo, questo anche perché sapevo già che Puscifer è un progetto che si muove tendenzialmente in direzione industrial.
Appunto, di industrial si tratta: basi elettroniche dai battiti ossessivi nella migliore tradizione di gruppi come Godflesh epperò per niente artigianali (giusto perché se scrivo sintetiche sembra scontato) come possono suonare quelle di gruppi più vecchi (per fare un esempio negativo ogni tanto, gli Skrew). Insomma, direi che il punto di contatto più comprensibile siano i Nine Inch Nails.
Siamo sinceri, non ho mai apprezzato più di tanto le correnti industrial più ballabili e sintetiche: preferisco di gran lunga roba più grezza. Questo significa che un album di questo tipo difficilmente mi piacerà (anche se poi i Nine Inch Nails mi piacciono parecchio e mi è capitato di ascoltare ininterrottamente cagate come Star By Star dei Kovenant). V Is for Vagina è purtroppo un album che, nonostante una cura più che notevole e la presenza di pezzi che onestamente non mi spiacerebbe sentire se vado a ballare (Indigo Children e The Undertaker) non va oltre la sufficienza, anche perché non mi pare che aggiunga nulla di nuovo al genere. Per quel che riguarda i testi (che poi lo sappiamo tutti che Keenan è un gran paroliere) ho apprezzato parecchio quelli a contenuto religioso (Sour Grapes, REV 22:20), assieme a Trekka che nel suo incedere marziale mi ha colpito.
Con tutto questo, comunque, il brano che credo di aver preferito è quello decisamente meno industrial e più sfacciatamente alternative e soprattutto americano, vale a dire Momma Sed.
Ah, giusto, quando Keenan canta con voce da baritono vale davvero la pena di ascoltare, anche se non è espressivo come in Aenima o in Schism.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5