domenica 30 dicembre 2012

Julee Cruise - Floating into the Night

Titolo: Floating into the Night
Artista: Julee Cruise
Anno di pubblicazione: 1989
Nazionalità: Iowa, USA

Non ho mai visto un film di David Lynch (Twin Peaks men che meno) e mi azzardo a parlare di un  album i cui testi sono scritti da Lynch e le musiche da Badalamenti. Sui testi non mi pronuncerò, allora. Sulla musica, dirò solo che questi arrangiamenti ipersoffusi e onirici (con gli ottoni che compaiono a mettere in crisi tuaa l'atmosfera fino ad allora creata) sono perfettamente adatti alla voce della Cruise. Una voce tanto cristallina ed eterea da competere con quella di personaggi del calibro di Elizabeth Fraser e Hope Sandoval. Vale la pena di ascoltare questo disco anche solo per un motivo del genere, ma preferisco Cocteau Twins e Mazzy Star.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5

Einstürzende Neubauten - Kollaps



Titolo: Kollaps
Artista: Einstürzende Neubauten
Anno di pubblicazione: 1981
Nazionalità: Germania

Ancora una volta abbiamo a che fare con un album industrial. C'è però da dire che gli Einstürzende Neubauten non hanno nulla a che fare coll'industrial pompato da discoteca (per quanto inquietante possa essere) di Skrew e compagni. La loro proposta l'ho sempre vista come una di quelle che tenta, con strumentazione insolita (tra cui lastre di metallo, martelli pneumatici e altro ancora) di trasmettere l'angoscia provocata dalla società industriale. Industrial nel senso letterale del termine, in altre parole. Kollaps è stato il loro primo album ed è composto di brani di breve durata dalla percussivtà ossessiva e metallica, sferzate metalliche che suonano come una sega circolare che trancia un pezzo d'acciaio e trapanano le orecchie e soprattutto dalla voce sofferente e urlata di Blixa Bargeld (roba che i peggiori screamers black metal gli fanno una sega, per essere volgare). Trattandosi del primo album la cosa suona comunque un po' zoppicante, come se si trattasse di qualche idea messa lì per vedere come viene, ma l'ascolto di un pezzo come la title-track, otto minuti di mantra industriale allucinato e perverso, fanno già capire la classe del gruppo. Classe che con opere del calibro di Die Zeichnungen Des Patienten O.T. che, pur usando i suoni più concreti che ci siano, riesce ad essere uno degli album più astratti di mia conoscenza (anche solo per un brano come Vanadium I-Ching) o Halber Mensch, che riesce ad aggiungere ad un proposta così audace suggestioni da discoteca (Yu-Gung) e religiose (il coro di Halber Mensch). Personalmente li ritengo uno dei gruppi più importanti di tutti gli anni '80.


Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5


sabato 29 dicembre 2012

Skrew - Burning in Water, Drowning in Flame

Titolo: Burning in Water, Drowning in Flame
Artista: Skrew
Anno di pubblicazione: 1992
Nazionalità: Texas, USA

Industrial metal di quello pesante. I due gruppi che mi verrebbe immediatamente da citare sono Godflesh e Ministry. L'unico problema è che mentre Streetcleaner e The Land of Rape and Honey sono due dei migliori album industrial di sempre, questo non è minimamente al loro livello. Per quanto Burning in Water, Drowning in Flame sia un disco carico di cattiveria, violenza e simili amenità (vedi Charlemagne) non riesce a scrollarsi di dosso una sensazione di falso da fare accapponare la pelle. Sarà colpa della miscela di industrial, metal e hip hop di Poisonous o dei ritmi da discoteca di Prey Flesh. Intendiamoci, cose del genere non è che non mi piacciano a priori, il problema è che in questo disco sembrano messe lì a caso per non si capisce bene quale motivo. Ciononostante, se si vogliono ascoltare dei bei brani c'è l'ottima title-track con la sua drum-machine tanto cadenzata, metallica e asettica da farmi venire in mente subito i Cop Shoot Cop (e Ask Questions Later è uno dei miei dischi preferiti) e la dinamica Indestructible che oltre ad essere una delle tracce migliori è anche una delle più ballabili. In realtà gli elementi buoni ci sono (la voce non è tra quelli, purtroppo, ma se Jourgensen riesce a cantare nei Ministry questa non è una scusante) il problema è che non sono sfruttati granché bene, a mio parere. Ah, e per chi lo desiderasse c'è pure una cover di Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. Anche quella non è male.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6

giovedì 27 dicembre 2012

Black Sabbath - Master of Reality

Titolo: Master of Reality
Artista: Black Sabbath
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: UK

Se si parla di quei gruppi hard rock che continuo ad ascoltare tutt'ora, non posso non citare i Black Sabbath. Sarà banale, ma il loro primo album continuo a considerarlo uno dei migliori di tutto il rock "cattivo" di sempre (e parlo anche di un pezzi come The Warning o Behind the Wall of Sleep). Con buona pace degli intellettualoni di turno. Venendo a Master of Reality, contine almeno uno dei miei pezzi preferiti di tutta la disografia dei Black Sabbath, ovvero Children of the Grave. Rispetto alla doppietta Black Sabbath & Paranoid, quest'album è decisamente meno roccioso (meno blues volendo) ed ha una maggiore gamma di soluzioni (prendiamo la ballata Solitude, con tanto di accompagnamento di flauto, che ci fa capire come si possa poi arrivare a Changes su Vol. 4). Resta comunque la solidità del riff ripetuto (mai quanto poteva esserlo in un brano come N.I.B.) cosa che mi fa comunque preferire questo disco a un Sabbath Bloody Sabbath che è anche troppo dispersivo persino nei pezzi migliori (Killing Yourself to Live o Sabbra Cadabra). Cercando di mettere ordine (e meno parentesi), il succo è: un disco di hard rock cupo, distorto, roccioso ma senza esagerare e pure breve (appena 34 minuti). Aggiungiamoci dei bei testi a metà tra il sociale e l'occulto (vedi Into the Void) e siamo tutti contenti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5

Disillusion - Gloria

Titolo: Gloria
Artista: Disillusion
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: Germania

Back to Times of Splendor lo considero uno dei più begli album di ambito metal dello scorso decennio (basterebbe la sola titlle-track per classificarlo come tale) e tanto tempo fa avevo provato un paio di tracce di questo lo secondo (e per ora ultimo) album. Niente più death metal cupo (e un po' melodico) dalle reminescenze classicheggianti e dall'andamento progressivo. Al suo posto una esplosiva quanto bizzarra miscela di metal estremo ed industrial ipercadenzato ed iperballabile. Insomma, prendete i Combichrist, aggiungeteci una batteria death metal, delle sfuriate di chitarra cattive (direi efferate ma questo termine nel periodo non avrebbe il benché minimo senso) e distorte al limite del noise e qualche amenità industrial metal in stile Godflesh ed avrete una pur vaga idea di come possa essere Gloria. Poi ascoltatevi The Black Sea (o Don't Go Any Further o la title-track) e lo capirete ancora meglio. Personalmente è uno di quei dischi che sarei felicissimo di sentire in discoteca.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5

martedì 18 dicembre 2012

Dum Dum Girls - Only in Dreams

Titolo: Only in Dreams
Artista: Dum Dum Girls
Anno di pubblicazione: 2011
Nazionalità: California, USA

Avevo fatto partire questo disco credendo di trovarmi di fronte a un album firmato Sun City Girls (uno di quei gruppi che conosco solo per nome e in cui ripongo molte aspettative). Quando è partita Bedroom Eyes ho capito il mio errore ma ho proseguito nell'ascolto. Dopo trentacinque minuti posso dire che, per quanto Bedroom Eyes possa sembrare il tipico brano poppeggiante senza molto da dire, Only in Dreams è un buon disco pop, che può vantarsi della bella voce di Dee Dee e di distorsioni e feedback chitarristici tali da creare un muro sonoro indistinto da manuale di shoegaze. Senza raggiungere la bellezza di dischi come Nowhere dei Ride, ma è anche vero che non sono più gli anni '90.
Dimenticanza a cui occorre porre rimedio: Hold Your Hand mi ricordava Sunday Morning ad un primo ascolto. In realtà non è vero. Credo somigli di più a Lady Godiva's Operation. Sempre di Velvet Underground si parla. Vabbeh, scusate la parentesi e saluti.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6

domenica 16 dicembre 2012

Alice Cooper - KIller

Titolo: Killer
Artista: Alice Cooper
Anno di pubblicazione: 1971
Nazionalità: Michigan, USA

Come chiunque abbia avuto un passato da metallaro, anch'io ho avuto un periodo di passione per hard rock e derivati. Ora come ora questa passione si è spenta quasi del tutto (salvo alcuni intramontabili) ma ogni tanto non mi dispiace ascoltare qualcosa. Di Alice Cooper all'epoca ero un grande fan soprattutto perché troppo pesante per essere davvero glam come voleva mostrarsi (il che gli fa superare con un balzo i vari Def Leppard, Dokken e persino i Twisted Sister), ma lo conoscevo principalmente solo per i suoi pezzi più famosi (che sia Poison o School's Out lascio a voi la scelta). Diverso tempo fa avevo ascoltato uno dei suoi primi album (Love It to Death per chi fosse interessato) e mi aveva sorpreso per alcuni brani quantomeno raffinati per essere un semplice disco di hard rock (la ballata Second Coming o Ballad of Dwight Fry), così mi son deciso a non rifiutare la possibilità di un secondo ascolto. Kilelr risale allo stesso anno ma mi sembra nettamente più valido del predecessore; al di là dei soliti brani hard rock (Under my Wheels, Be My Lover, Yeah, Yeah, Yeah) credo che valga pena di ascoltare Killer per la presenza di tematiche violente (la title-track e Desperado) e brani lunghi e articolati in maniera diversa rispetto al solito verso-ritornello-verso-ritornello-assolo-ritornello (Halo of Flies) e soprattutto per Dead Babies che è al limite del punk rock. No, questa è un'esagerazione, ma di certo pochissimi gruppi hard rock "normali" oserebbero scrivere un pezzo del genere.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5

Röyksopp - Melody A.M.


Titolo: Melody A.M.
Artista: Röyksopp
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: Norvegia

Non so bene cosa scrivere. I Röyksopp mi sono sempre stati venduti come un duo di elettronica. Ma se si ascolta Röyksopp's Night Out sembra di avere nelle orecchie un pezzo da cocktail bar con giusto una spruzzata di elettronica. A parte nell'ultimo minuto e mezzo (su sette). Il resto del disco segue bene o male le stesse orme, elettroniche ma non troppo, sezione ritmica molto funky e atmosfere lounge. Con qualche inserto jazz (vedi She's So). Non ho la benché minima idea se la cosa sia valida, ma mi viene da associarlo ai Jamiroquai. Tra Melody A.M. e The Return of the Space Cowboy scelgo decisamente il primo. So Easy decisamente il miglior brano.

Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7

GIorgio Moroder - From Here to Eternity

Titolo: From Here to Eternity
Artista: Giorgio Moroder
Anno di pubblicazione: 1977
Nazionalità: Italia

Synth pop nella sua forme più pura e ancestrale. Musica elettronica ballabile e fruibile con estrema facilità, condita da vocine effettate (vedi I'm Left, You're Right, She's Gone o la title-track). Godibile al cento per cento. La risposta italiana ai secondi Kraftwerk? Di sicuro è talmente simile a The Man Machine che ad un primo ascolto l'ho creduto un plagio. Poi mi sono reso conto che Frome Here to Eternity risale all'anno prima. Quando il trash all'italiana vale l'ascolto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5

domenica 9 dicembre 2012

Loose Fur - Loose Fur

Titolo: Loose Fur
Artista: Loose Fur
Anno di pubblicazione: 2003
Nazionalità: Illinois, USA

Due membri dei Wilco assieme a Jim O'Rourke. Non ho mai ascoltato nessuno dei due riferimenti (i Wilco li conosco di fama), si tratta di un puro corollario al commento. Visto l'anno di pubblicazione, nonostante la provenienza dei componenti possiamo avere qualche problema a considerarli tali, ma non credo sia errato definirli un supergruppo indie rock. Sarà per la copertina sciccosa ma con quel tocco di bassa fedeltà ed estemporaneità che ci dovrebbe fare capire che in realtà i Loose Fur si prendono poco sul serio e hanno un gran cervello, sarà perché da sempre sento associare i Wilco all'indie rock più intellettuale, sarà per un altro motivo. Venendo al disco in quanto musica, direi che è perfettamente riassunto dalla copertina: sei brani di durata variabile tra i nove minuti di So Long (sono ironici pure nel titolo, dai) ai tre e mezzo di You Were Wrong, che danno l'impressione di essere suonati tanto per suonare insieme ma che sotto sotto mi suonano un po' presuntuosi, come se dicessero "guarda, noi suoniamo così quando non sappiamo che fare, immagina se facessimo sul serio". E questo mi dà fastidio. A onor del vero, c'è da dire che la competenza dei tre è assolutamente ineccepibile e quando non si dilungano eccessivamente (soprattuto nella coda di Laminated Cat) sono pure molto bravi, il problema sta nell'atteggiamento. Da menzionare quantomeno la coda strumentale di So Long (e qua purtroppo devo concordare col solito Scaruffi) e la ballata un po' folk un po' prog (molto Meat Puppets di sicuro) Elegant Transaction. Il resto non è male ma non è nulla di miracoloso, farà comunque la gioia di qualche intellettuale indie. Riccardo Salvini, questa è per te!
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5

David Sylvian - Secrets of the Beehive

Titolo: Secrets of the Beehive
Artista: David Sylvian
Anno di pubblicazione: 1987
Nazionalità: UK

A volte capita di farsi delle idee su di un disco senza neppure averlo ascoltato. Nel caso in questione difficilmente mi toglierò dalla testa che Secrets of the Beehive sia stato all'epoca della sua uscita un album di culto. Non ha importanza che la cosa corrisponda o meno a verità. E' uno di quegli album estremamente raffinati, che se non piacciono ai nostri cari intelletualoni torinesi è solo perché hanno troppa voglia di essere snob: le composizioni sono molto distese, quasi sognanti (anche quando interviene un elemento come il sassofono che con la musica classica magari ha ben poco a che fare) e si sposano perfettamente con il "cantato" (che poi è al limite del recitato) dolce e molto profondo di Sylvian che compone pezzi ugualmente intimisti, di quelli che sono perfetti per momenti di estrema solitudine con una punta di malinconia. Senza depressione, però: non credo che il disco voglia essere cupo o triste, solo leggermente malinconico. Consideriamo poi che i nove brani sono arrangiati da Ryuichi Sakamoto e avremo sicuramente un disco intellettuale ma estremamente godibile, di quelli che è un peccato scaricare a priori solo per quel motivo.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7