domenica 29 luglio 2012

Aesop Rock - Labor Days

Titolo: Labor Days
Artista: Aesop Rock
Anno di pubblicazione: 2001
Nazionalità: New York, USA

Come già detto per i Company Flow, non sono un esperto di hip hop. Cinonostante, questo disco è fenomenale, a partire dai testi, immaginifici senza dubbio ma comunque relativamente comprensibili e un po' misantropi, passando per il modo di "cantare" (mi piace tanto il suo tono di voce quanto la sua capacità di cambiare ritmica da un brano all'altro pur mantenendo una forte personalità) e arrivando fino alle basi, forse tra le migliori che mi sia capitato di ascoltare. Sulle basi nello specifico, se già in media sanno essere estremamente raffinate ed orecchiabili (tanto da farmi venire in mente Aphex Twin o altra roba IDM), quando ad esse si aggiungono campionamenti vari (come i fiati e la batteria in Battery), diventano assolutamente eccezionali. Insomma, un disco che merita un ascolto più che approfondito. Mi scuso per il pessimo linguaggio.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 8

Bert Jansch - Bert Jansch

Titolo: Bert Jansch
Artista: Bert Jansch
Anno di pubblicazione: 1965
Nazionalità: UK

Scozia, per la precisione, con buona pace di una certa citazione di Trainspotting. Visto che un attimo prima si sono citati i Pentangle a proposito dei Fairport Convention, rimaniamo in tema e segnaliamo il primo disco solista di Bert Jansch, chitarrista, appunto, dei Pentangle. Quindici brani di breve durata (si va dai quattro minuti al minuto scarso) equamente distribuiti tra strumentali per chitarra acustica e pezzi cantautoriali. Di solito si cita Needle of Death che è effettivamente uno dei brani migliori, ma devo dire di avere apprezzato parecchio Running from Home o Rambling's Gonna Be the Death of Me. Quanto alle strumentali, va detto che Jansch è uno di quei chitarristi capaci di oscurare buona parte dei chitarristi più blasonati; Alice's Wonderland, Smokey River e Angie sono tre ottimi esempi di quanto sto dicendo. Per essere un disco di folk cantautoriale per sola voce e chitarra acustica, devo dire che è davvero molto bello.

Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5

Fairport Convention - Liege & Lief

Titolo: Liege & Lief
Artista: Fairport Convention
Anno di pubblicazione: 1969
Nazionalità: UK

Visto, che la carta del collegamento è quella che mi piace di più quando si parla di musica, mi sembra doveroso notare che il 1969 è anche l'anno di pubblicazion dei Basket of Light dei Pentangle. Non è certo un dato messo lì a caso: tanto i Pentangle quanto i Fairport Convention appartengono al filone del revival folk inglese di fine anni '60. Chiaramente le differenze ci sono e sono notevoli (lo stile di Basket of Light è influenzato dal jazz, per esempio), ma questa prima verità è incontrovertibile, senza dimenticare che entrambi i gruppi hanno una cantante. Liege & lief è uno di quei dischi di cui spesso si sente parlare in termini parecchio lusinghieri, ma onestamente non vedo il motivo di tutto ciò: senza dubbio è un disco con un certo fascino sia per quel che riguarda i testi (che però per buona parte sono tradizionali) sia per quel che riguarda la musica (e in quel caso basterebbe ascoltare Medley), ma a parte quealche pezzo (la già citata Medley e Matty Groves sono state le uniche due a colpirmi davvero) il disco mi suona decisamente monotono e abbastanza poco originale. Certo, la cosa può anche dipendere dal fatto che la mia conoscenza dei Pentangle risale a diversi anni fa, ma di certo non sta tutto lì. Insomma, una mezza delusione, ma se si apprezza il folk rock dalle tinte medievali, questo è un ascolto consigliato.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7

sabato 28 luglio 2012

Red House Painters - Down Colourful Hill

Titolo: Down Colourful Hill
Artista: Red House Painters
Anno di pubblicazione: 1992
Nazionalità: California, USA

Mi pento amaramente di non avere mai ascoltato questo disco prima d'ora. Non vale neppure particolarmente la pena parlarne in maniera diffusa, più che altro perché appartiene a quella categoria di album che riescono ad arrivare in profondità. Rock ridotto ai minimi termini (chitarre acustiche, basso e batteria), ripetitivo nell'unica accezione positiva possibile del termine (bisogna ascoltare la title-track o medicine Bottle per capire cosa intendo) ed infinitamente triste. Se proprio volete un paragone, il mio istinto me lo fa paragonare contemporaneamente a Spideralnd degli Slint e a Good dei Morphine, ma è una semplice approssimazione. Su dischi del genere dare un parere mi è pressoché impossibile.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 9.5

giovedì 26 luglio 2012

Portugal. The Man - The Satanic Satanist

Titolo: The Satanic Satanist
Artista: Portugal. The Man
Anno di pubblicazione: 2009
Nazionalità: Alaska, USA

Non posso dire di essere un amante della musica indie, non fosse per altro, perché vivo in una città in cui tale moda si fa sentire troppo spesso, specialmente nell'ambiente universitario (conoscete i Foxhound?). Ciononostante, anche in quel panorama musicale ci sono gruppi degni di nota (e non nego di essere stato a suo tempo, tra le altre cose, un fan degli Arctic Monkeys più cazzoni): di solito si citano Wilco e TV on the Radio, ma personalmente apprezzo particolarmente i Portugal. The Man. In realtà ho una discussione aperta sulla loro effettiva ascrivibilità al genere (dovuta immagino a certe somiglianze con i Mars Volta), ma nonostante una innegabile vena progressiva io continuo a considerarli un gruppo indie rock. Un po' fuori dagli schemi, magari, ma pur sempre indie rock. Venendo a The Satanic Satanist, è il loro quarto disco (quinto, se vogliamo considerare l'EP It's Complicated Being a Wizard un album vero e proprio per la sua durata di 46 minuti) e può lasciare stupiti ad un primo ascolto: se si esclude la vena blues di Church Mouth (2007), i precedenti album dei Portugal. The Man si facevano notare più per un eclettismo al limite della schizofrenia (oltre che per la voce androgina del cantante) che per altro. The Satanic Satanist è, invece, un disco che sembra uscito direttamente dagli anni '60: undici brevi canzonette psichedeliche (la media è di poco più di tre minuti) di quelle che potevano fare i primissimi Jefferson Airplane (o i Doors, se consideriamo un pezzo come The Home) unite alla visione dell'indie rock dei TV on the Radio di Return to Cookie Mountain. Per quanto ben suonato e prodotto, però, la cosa non può non suonarmi un po' gratuita. Non conosco tutta la loro discografia, ma di quel che ho ascoltato è il disco peggiore. Con la differenza che pagherei perché i peggiori dischi di indie rock (?) fossero così.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5

Entombed - Left Hand Path

Titolo: Left Hand Path
Artista: Entombed
Anno di pubblicazione: 1990
Nazionalità: Svezia

Lo sanno tutti che le specialità musicali dell'area scandinava sono due: black metal e death metal. Ovviamente i profani non sono avvezzi a distinguere le sottili (eppure notevoli) sfumature che distinguono release oramai sempre più simili tra olor, ma stiamo parlando di un disco di 22 anni fa. Quindi il discorso è leggermente diverso. Se qualcuno ha un minimo di confidenza con il metal estremo sa che la differenza più notevole tra il (death) metal scandinavo e quello americano sta nell'atmosfera: quanto è tagliente e aggressiva la seconda, tanto macilenta e catacombale la seconda (chiaramente eccezioni come gli Autopsy sono calcolate). Ecco, gli Entombed, come i contemporanei Carnage del resto, esprimono alla perfezione questo senso di decadimento nonostante una proposta musicale aggressiva e veloce, a cui bisogna aggiugnere de testi che nonostante scadano in qualche cliché anticristiano riescono pure ad essere abbastanza originali. Se ci si lascia affascinare da questo tipo di atmosfere e non si hanno pregiudizi in merito al metal, questo disco vale almeno un ascolto. Chiaramente nulla di particolarmente originale, ma se non altro ha il pregio di essere fatto davvero bene.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5

mercoledì 25 luglio 2012

Company Flow - Funcrusher Plus

Titolo: Funcrusher Plus
Artista: Company Flow
Anno di pubblicazione: 1997
Nazionalità: New York, USA

Le mie competenze in ambito hip hop sono pressoché nulle, quindi non abbiatene a male se vedrete un commento poco articolato. In generale si è trattato di un disco apprezzabile grazie ad un modo di cantare abbastanza facile da seguire (al contrario di un gruppo come i Jedi Mind Tricks) e tutto sommato gradevole (soprattutto per quanto riguarda El-P), anche se i testi in generale non mi hanno particolarmente colpito (sebbene tracce come Collude/Intrude e Tragedy of War (In III Parts) hanno il loro fascino). Quanto alle basi, invece, mi sono piaciute molto: asciutte e semplici, forse (se escludiamo cose come il campionamento di sitar in The Fire in Which You Burn), ma riescono a catturare l'attenzione per tutta la durata del disco che in generale è prodotto e cantato davvero bene. Il suo più grande difetto, però, è che dura quasi un'ora e un quarto. Decisamente troppo per le mie orecchie non allenate.
 
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7

martedì 24 luglio 2012

A.R. Kane - 69

Titolo: 69
Artista: A.R. Kane
Anno di pubblicazione: 1988
Nazionalità: UK


 Ammetto di avere sottovalutato parecchio questo disco. Credevo si trattasse di un disco di shoegaze dall'anima pop (non vale la pena chiederne il motivo, si tratta di associazioni su cui non ho intenzione di interrogarmi), ma 69 è un po' più interessante di così: è innegabile che il tipo di sonorità sia quello dello shoegaze con tanto di marasma fumoso di effetti da cui fa timidamente capolino una melodia. L'unica differenza è l'effetto complessivo: se un album come Nowhere dei Ride possiede dopotutto un'anima pop facilmente individuabile, la musica degli A.R. Kane è molto più soffusa e avvolgente, tanto da farmi venire in mente prima i Talk Talk di Spirit of Eden che i My Bloody Valentine. Suggestionati dalla copertina e dal titolo di uno dei brani, l'impressione che mi ha dato è quella di trovarsi dentro un banco di balene (capodogli, a parafrasare con un minimo di coerenza) e ascoltare i loro versi. Ma siccome qua si va sull'onirico e si spiega poco del disco in sé, concludo dicendo che se si apprezzano i classici gruppi post-rock inglesi (Talk Talk, Bark Psychosis e simili), questo è un ascolto assolutamente più consigliato che per gli amanti di shoegaze e affini. L'unica differenza col post-rock che tutti conosciamo è che è un disco molto più onirico (ma di paragoni col dream pop non voglio farne, accontentatevi di questo accenno).
 
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5