domenica 20 settembre 2015

Saint Vitus - Hallow's Victim

Titolo: Hallow’s Victim
Artista: Saint  Vitus
Anno di pubblicazione: 1985
Nazionalità: California, USA

I Saint Vitus appartengono a quella frangia di gruppi doom metal vecchio stile, che proponevano un heavy metal in stile Black Sabbath ancora più distorto e rallentato. La ricetta è semplicemente questa, e i 34 minutidi Hallow’s Victim sono una perfetta rappresentazione di una tale ricetta. La formazione è quella classica: voce, chitarra, basso e batteria. Quanto ala produzione, è “classica” pure quella: come da miglior tradizione metal, infatti, i suoni sono grezzi e impastati al punto che risulta difficile riconoscere i vari strumenti (il basso, per esempio, si può sentire distintamente solo per quei pochi secondi in Mystic Lady in cui le chitarre tacciono). Non mi sento di mortificare eccessivamente il disco per la produzione, comunque.
Quanto alle composizioni, la struttura dei brani è semplicissima: riffoni galoppanti che incalzano l’ascoltatore e lo invogliano a scuotere la testa (immagino abbiate presente l’immagina del metallaro headbanger) che si alternano a “ponti”, credo che si chiamino così i momenti di passaggio tra un riff e l’altro, decisamente poco ispirati (quell’orrore di chitarra tra la strofa e il ritornello di Just Friends (Empty Love) – tra l’altro il pezzo peggiore del disco – non si può proprio sentire) e assoli marci che vanno dalle staffilate al limite del rumor bianco (War Is Our Destiny) a serie di note riconoscibili e apprezzabili (Mystic Lady e White Stallion). Il tutto condito con la voce di Scott Reagers che, senza bisogno di lanciarsi in improbabili acuti né di scendere al livello di un growl (che ancora non era una soluzione tipica) sfoggia una bella voce oscura e profonda, anche se non particolarmente intonata. Menzione va fatta per l’ingenuità delle liriche, che a volte mi fanno chiedere se per caso non sia tutta una presa in giro del canone.
Riassumendo, il disco suona bene per tutta la durata del lato A (War Is Our Destiny, White Stallion e Mystic Lady) per poi perdersi nel lato B dietro sciocchezze francamente evitabili (come la punkettona title-track o l’orribile Just Friend).


Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5.5


Post Scriptum: visto che è da un po’ che segnalo solo metal, per tutti quelli che hanno voglia di ascoltare qualcosa di diverso consiglio il folk/vaudeville scanzonato e zoppicante della Bonzo Dog Band. Gorilla e The Doughnut in Granny’s Greenhouse sono due ottimi album, anche se un po’ vecchiotti.

martedì 8 settembre 2015

Cathedral - The Carnival Bizarre

Titolo: The Carnival Bizarre
Artista: Cathedral
Anno di pubblicazione: 1995
Nazionalità: UK

Negli ultimi tempi ho capito che dopotutto non sono mai uscito da quell'atteggiamento snobbone e borioso che caratterizza il tipico adolescente "musicologo" (termine che qua uso solo per inidcare uno che si fa vanto di ascoltare tanta roba diversa). Il problema è che molta roba ho fatto finta di apprezzarla ma poi in realtà magari neppure avevo capito cosa stessi ascoltando. Fatto sta che adesso, per una questione di onestà intellettuale, cerco di ascoltare con un po' più di criterio. Magari provo meno dischi, ma almeno ho preso quell'atteggiamento bulimico.

Veniamo ai Cathedral: il fondatore è Lee Dorrian dei Napalm Death, ovvero il gruppo che ha praticamente fondato il grindcore (quel che si ottiene lanciando il death metal alla velocità dell'hardcore punk). La musica del gruppo, tuttavia, è un doom metal molto vecchia scuola, caratterizzato da riffoni corposi, tempi lenti e distorsioni grezze, di quelle che è difficile non sentirci i primi Black Sabbath dietro. Ma dopotutto negli anni '90 stava tornando di moda quello stile (gruppi come Kyuss, Sleep e Monster Magnet nascono tutti in questo periodo). Dorrian canta con una voce semidistrutta ma incredibilmente "intonata" ed espressiva (basta confrontare Fangalactic Supergoria ed Electric Grave per rendersene conto). Per quel che riguarda i testi, attingono al repertorio classico della magia nera e del compendio di malvagità dell'heavy metal classico (Vampire sun e Hopkins (The Witchfinder General) sono due ottimi esempi), ma senza scadere nel cliché.

Insomma, così descritto sembrerebbe un buon album: purtuttavia, confrontato coi precedenti Forest of Equilibrium (1991) e The Ethereal Mirror (1993), The Carnival Bizarre non regge il confronto: è un disco solido, compatto e omogeneo, ma manca della monoliticità del primo (un'ora di chitarre gorgoglianti e growl incomprensibile su tempi lentissimi) e dell'energia e della varietà del secondo (nel quale Dorrian cantava decisamente meglio). Per quanto sappia che il genere si nutre anche di brani discretamente lunghi per sviluppare un'atmosfera più che coinvolgere nell'immediato l'ascoltatore, l'ora buona di durata di The Carneval Bizarre mi è sembrata eccessiva. Un lavoro ben fatto ma che alla fine non mi ha lasciato così tanto. Comunque se vi piace lo stoner ve lo consiglio.

Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 6.5