martedì 10 settembre 2013

Arctic Monkeys - AM

Titolo: AM
Artista: Arctic Monkeys
Anno di pubblicazione: 2013
Nazionalità: UK

Visto che non sono mai aggiornato in tempo reale sulle nuove uscite (come si può vedere, non ci sono stati quest'anno articoli su The 2nd Law né su Colored Sands né su Random Access Memories né su tutti gli altri ritorni di quest'anno) almeno uno di questi album l'avrei voluto commentare per tempo. E avendo scoperto solo oggi che gli Arctic Monkeys han pubblicato il loro nuovo disco ieri, eccomi qui a dare la mia opinione così posso dire di aver fatto qualcosa. Per l'occasione ho pure evitato di leggere recensioni altrove.
Che gli Arctic abbiano in qualche misura dettato legge per quel che riguarda l'indie rock è una cosa che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare. Non mi soffermerò sulla loro evoluzione, che la cosa non interessa a nessuno e probabilmente c'è gente che ne può parlare meglio di me. Per limitarmi ai miei personalissimi gusti (che poi sono l'unica cosa che viene segnalata qua dentro) mi piacevano quando erano dei londinesi cazzoni nei primi due album, mi piacevano ancora di più quando Josh Homme li aveva portati in territori psichedelici e un po' americani con Humbug e con Suck It and See avevano perso gran parte del loro carisma perdendosi dietro a uno stile troppo pop e troppo americano.
Cos'è dunque AM? Gli Arctic Monkeys che ormai non han più nulla di quel piglio cazzone e scanzonato dei primi dischi, gli Arctic Monkeys che migliorano nettamente per qualità di suono (soprattutto per quel che riguarda la chitarra, prendiamo Do I Wanna Know?), gli Arctic Monkeys che DIY non han quasi più nulla e si abbandonano ad una produzione laccatissima.
Cosa intendo con queste parole? Tastiere pompose (non so per i lettori, a me quello che piaceva degli Arctic Monkeys erano soprattutto le sonorità molto grezze), melodie accattivanti e facili e soprattutto l'uso spasmodico di coretti che neppure i peggiori Muse si sognerebbero mai. Quintessenza di queste sonorità sono One for the Road (uh-uh) e soprattutto Knee Socks che, seppure durante le strofe abbia ancora il piglio da ballata à la AM, nel ritornello e peggio ancora nella seconda parte si perde in questi giochetti. Orrore orrore, questi due pezzi sono proprio quelli che vedono la presenza alla voce di Josh Homme.
D'accordo, abbiamo detto le cose brutte, veniamo ai pregi: come ho detto, trovo che dal punto di vista delle sonorità il gruppo sia comunque migliorato così come nell'effetto d'insieme (certo, questo è sicuramente anche dovuto ad una produzione migliore rispetto a un Favourite Worst Nightmare).
Anche il tentativo di andare oltre le sonorità indie più "stantie" in favore di altre soluzioni in realtà è lodevole, per quanto in questo caso i risultati migliori siano quelli in direzione più sfacciatamente psichedelica (vedi Arabella, che ho trovato il pezzo più convincente anche perché lo stile chitarristico è bello hard rock) che non "da stadio"  (R U Mine?). Aggiungiamoci un pezzo un po' più particolare come  Snap Out of It che si lascia un po' influenzare dal dak cabaret e che almeno in un paio di brani (Why'd You Only Call Me When You're High? e Mad Sounds) il gruppo riesce a trovare una cerca coesione e a non fare suonare banali neppure i coretti per voce bianca. Certo, per ogni Mad Sounds c'è una I Wanna Be Yours...
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5

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