Titolo: J'Accuse... Amore Mio
Artista: Faust'O
Anno di pubblicazione: 1980
Nazionalità: Italia
New Wave all'italiana. Drum-machine, chitarra, sassofono e tastiere. Più voce teatrale che sembra quella di Renato Zero. Onestamente il genere non lo gradisco granché ma il primo album di Faust'O, Suicidio, l'avevo trovato piuttosto bello, soprattutto per la crudezza delle liriche (strumentalmente non si discosta poi molto da quel po' che conosco del genere, mi vengono soprattutto in mente i primi Ultravox). Questa volta mi è sembrato tutto troppo addolcito, sintetizzato.. falso, insomma. Una mezza delusione (Love Story mi era piaciuto ancor meno quindi non è che nutrissi grandi aspettative). Un'occasione sprecata, aggiungerei. A questo punto preferisco ascoltarmi Alberto Camerini che è più semplice e privo fronzoli.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5.5
giovedì 26 dicembre 2013
domenica 15 dicembre 2013
Voivod - Killing Technology
Titolo: Killing Technology
Artista: Voivod
Anno di pubblicazione: 1987
Nazionalità: Quebec, Canda
Avevo letto in giro, a proposito dei Voivod, che Dimensions Hatross (il loro album successivo) non aveva mai avuto il riconoscimento meritato perché prima di lui era uscito un disco di thrash metal della miglior fatta e col successivo Nothingface avevano data una sterzata progressiva di altissima qualità (per intenderci, in Nothingface c'è una cover di Astronomy Domine, mica quelle cagate pseudo-prog che capita di ascoltare oggi).
Per quel che mi riguarda, confermo: Killing Technology è uno dei migliori dischi thrash che mi sia mai capitato di ascoltare. Nove (o sette, dipende se nella versione su vinile o su cd) tracce veloci e aggressive, con qualche assolo di chitarra che però non stona affatto (anche perché decisamente breve) e rette da una sezione ritmica irresistibile. La voce di Denis D'Amour, poi, credo sia stata una delle migliori in tutta la storia dell'heavy metal.
Se poi siete di quelli che del metal di solito non apprezzano le liriche, qua avrete una bella sorpresa: che siano contro il nucleare (Overreaction) o altre branche della tecnologia (Ravenous Medicine o la title-track), o anche solo quando si parla di una nave carcere che getta i prigionieri nello spazio con una sola ora di ossigeno, sono sempre ben scritti. Roba ai livelli di Pull the Plug dei Death.
E la copertina spacca. Quindi questo disco è fico.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Voivod
Anno di pubblicazione: 1987
Nazionalità: Quebec, Canda
Avevo letto in giro, a proposito dei Voivod, che Dimensions Hatross (il loro album successivo) non aveva mai avuto il riconoscimento meritato perché prima di lui era uscito un disco di thrash metal della miglior fatta e col successivo Nothingface avevano data una sterzata progressiva di altissima qualità (per intenderci, in Nothingface c'è una cover di Astronomy Domine, mica quelle cagate pseudo-prog che capita di ascoltare oggi).
Per quel che mi riguarda, confermo: Killing Technology è uno dei migliori dischi thrash che mi sia mai capitato di ascoltare. Nove (o sette, dipende se nella versione su vinile o su cd) tracce veloci e aggressive, con qualche assolo di chitarra che però non stona affatto (anche perché decisamente breve) e rette da una sezione ritmica irresistibile. La voce di Denis D'Amour, poi, credo sia stata una delle migliori in tutta la storia dell'heavy metal.
Se poi siete di quelli che del metal di solito non apprezzano le liriche, qua avrete una bella sorpresa: che siano contro il nucleare (Overreaction) o altre branche della tecnologia (Ravenous Medicine o la title-track), o anche solo quando si parla di una nave carcere che getta i prigionieri nello spazio con una sola ora di ossigeno, sono sempre ben scritti. Roba ai livelli di Pull the Plug dei Death.
E la copertina spacca. Quindi questo disco è fico.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
sabato 30 novembre 2013
Motorhead - Overkill
Titolo: Overkill
Artista: Motorhead
Anno di pubblicazione: 1979
Nazionalità: UK
Il disco è decisamente famoso, quindi non mi dilungherò. E' hard rock sporco e veloce (e misogino, ma c'è davvero bisogno di dirlo?). Lemmy ha la voce marcia. Però è un disco talmente immediato che non credo possa non piacere. Almeno per la title-track, Stay Clean, No Class o Capricorn. Alla fine se ascolto hard rock voglio roba grezza e questo disco ha tutto quello che si può desiderare dal genere. 34 minuti, poi è pure la durata che chiunque può reggere senza problemi.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Motorhead
Anno di pubblicazione: 1979
Nazionalità: UK
Il disco è decisamente famoso, quindi non mi dilungherò. E' hard rock sporco e veloce (e misogino, ma c'è davvero bisogno di dirlo?). Lemmy ha la voce marcia. Però è un disco talmente immediato che non credo possa non piacere. Almeno per la title-track, Stay Clean, No Class o Capricorn. Alla fine se ascolto hard rock voglio roba grezza e questo disco ha tutto quello che si può desiderare dal genere. 34 minuti, poi è pure la durata che chiunque può reggere senza problemi.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
mercoledì 16 ottobre 2013
Aethenor - Faking Gold and Murder
Titolo: Faking Gold and Murder
Artista: Aethenor
Anno di pubblicazione: 2009
Nazionalità: internazionali
Gli Aethenor sono un supergruppo in cui milita, tra gli altri, Stephen O'Malley dei Sunn O))) (nomino solo lui perché è l'unico di cui conosca un po' il lavoro). Quindi ci si dovrebbe aspettare un album drone di quelli decisamente pesanti, visto che in ogni caso anche il resto del gruppo proviene da quel mondo.
Non è così, per fortuna: complice la presenza di due percussionisti e di una chitarra aggiunta, Faking Gold and Murder non si perde dietro stratificazioni sonore, anzi. Tra le distorsioni elettroniche e i campionamenti ambientali la batteria, pur essendo opprimente al punto giusto, aiuta agiudare il resto della strumentazione attraverso diverse atmosfere (chiaramente, trattandosi un disco di musica definita sperimentale, non si può fare a meno di far suonare le tracce come un continuum anche se sono in realtà quattro). Secondo alcuni uno dei punti forti dell'album sono le liriche da profeta dell'apocalisse di David Tibet (Current 93, altro ospite). Personalmente il suo stile non mi fa impazzire.
Ad ogni modo si tratta di un disco inquietante ma molto valido. Va però detto che nello stesso anno è uscito L'autopsie phenomenale de Dieu di Kreng e quello sì che è un disco di musica sperimentale coi controcazzi.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Aethenor
Anno di pubblicazione: 2009
Nazionalità: internazionali
Gli Aethenor sono un supergruppo in cui milita, tra gli altri, Stephen O'Malley dei Sunn O))) (nomino solo lui perché è l'unico di cui conosca un po' il lavoro). Quindi ci si dovrebbe aspettare un album drone di quelli decisamente pesanti, visto che in ogni caso anche il resto del gruppo proviene da quel mondo.
Non è così, per fortuna: complice la presenza di due percussionisti e di una chitarra aggiunta, Faking Gold and Murder non si perde dietro stratificazioni sonore, anzi. Tra le distorsioni elettroniche e i campionamenti ambientali la batteria, pur essendo opprimente al punto giusto, aiuta agiudare il resto della strumentazione attraverso diverse atmosfere (chiaramente, trattandosi un disco di musica definita sperimentale, non si può fare a meno di far suonare le tracce come un continuum anche se sono in realtà quattro). Secondo alcuni uno dei punti forti dell'album sono le liriche da profeta dell'apocalisse di David Tibet (Current 93, altro ospite). Personalmente il suo stile non mi fa impazzire.
Ad ogni modo si tratta di un disco inquietante ma molto valido. Va però detto che nello stesso anno è uscito L'autopsie phenomenale de Dieu di Kreng e quello sì che è un disco di musica sperimentale coi controcazzi.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
venerdì 13 settembre 2013
Portugal. The Man - Waiter: "You Vultures!"
Titolo: Waiter: "You Vultures!"
Artista: Portugal. The Man
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: Alaska, USA
Quello che mi piace particolarmente dei Portugal. The Man è la loro capacità di suonare molto personali pure quando si confrontano con scene musicali piuttosto codificate. Così Church Mouth può benissimo essere letto come una loro rivisitazione del blues e The Satanic Satanist come un omaggio (ancor più palese) alla scena psichedelica degli anni '60.
Waiter: "You Vultures!" fu il loro primo album e le coordinate stilistiche sono in questo caso prevalentemente quei gruppi alternative americani che si sono lasciati influenzare e dal rock progressivo e dall'emo. At the Drive-In su tutti e non credo sia un caso che tanto questo quanto il successivo Church Mouth siano usciti per la stessa casa discografica di Relationship of Command.
Si tratta di un album in cui, per quanto sia già evidente dove andranno a parare in seguito questi ragazzi (una parte del testo di How the Leopard Got His Spots sarà il leitmotiv vocale di It's Complicated Being a Wizard) la matrice sonora di riferimento occupa un posto importante al punto che, assieme alle linee vocali androGine caratteristiche del gruppo possiamo ascoltare momenti di canto sgolato in perfetto stile emo assieme a sprazzi di schizofrenia abrasiva che in seguito sarà completamente trasfigurata.
Rispetto ai dischi successivi, caratterizzati da uno stile eclettico e "bizzarro" ma sempre molto elegante e posato, Waiter: "You Vultures!" suona decisamente più viscerale.
Epperò se si va ad ascolare la conclusione Guns... Guns... Guns, colla sua sovrapposizione di distorsioni elettroniche, piano jazz e un discorso campionato mi chiedo se non abbiano comunque perso qualcosa, nonostante tutto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
Artista: Portugal. The Man
Anno di pubblicazione: 2006
Nazionalità: Alaska, USA
Quello che mi piace particolarmente dei Portugal. The Man è la loro capacità di suonare molto personali pure quando si confrontano con scene musicali piuttosto codificate. Così Church Mouth può benissimo essere letto come una loro rivisitazione del blues e The Satanic Satanist come un omaggio (ancor più palese) alla scena psichedelica degli anni '60.
Waiter: "You Vultures!" fu il loro primo album e le coordinate stilistiche sono in questo caso prevalentemente quei gruppi alternative americani che si sono lasciati influenzare e dal rock progressivo e dall'emo. At the Drive-In su tutti e non credo sia un caso che tanto questo quanto il successivo Church Mouth siano usciti per la stessa casa discografica di Relationship of Command.
Si tratta di un album in cui, per quanto sia già evidente dove andranno a parare in seguito questi ragazzi (una parte del testo di How the Leopard Got His Spots sarà il leitmotiv vocale di It's Complicated Being a Wizard) la matrice sonora di riferimento occupa un posto importante al punto che, assieme alle linee vocali androGine caratteristiche del gruppo possiamo ascoltare momenti di canto sgolato in perfetto stile emo assieme a sprazzi di schizofrenia abrasiva che in seguito sarà completamente trasfigurata.
Rispetto ai dischi successivi, caratterizzati da uno stile eclettico e "bizzarro" ma sempre molto elegante e posato, Waiter: "You Vultures!" suona decisamente più viscerale.
Epperò se si va ad ascolare la conclusione Guns... Guns... Guns, colla sua sovrapposizione di distorsioni elettroniche, piano jazz e un discorso campionato mi chiedo se non abbiano comunque perso qualcosa, nonostante tutto.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7.5
mercoledì 11 settembre 2013
Earth - Angels of Darkness, Demons of Light II
Titolo: Angels of Darkness, Demons of Light II
Artista: Earth
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: Washington
Comincio il discorso con un'ammissione di ignoranza: non ho mai ascoltato i dischi che si citano generalmente come capolavori degli Earth (i loro primi album).
Ciò detto, Angels of Darkness, Demons of Light II prosegue il discorso dal punto in cui si era fermato il precedente Angels of Darkness, Demons of Light I. Non che il titolo non ce lo facesse pensare, in effetti...
Come nel disco precedente, la quasi totalità dei brani (se escludiamo l'iniziale Sigil of Brass di tre minuti) è decisamente lunga, assestandosi su una media di 10 minuti. Non si arriva tuttavia ai 20 di Angels of Darkness, Demons of Light I (la traccia, non il disco).
Cosa succede in questi pezzi? Assolutamente niente. Non hanno il normale andamento di un pezzo rock, anzi, sono composti da linee strumentali opprimenti ed ossessive che si reggono su un uso della strumentazione molto più ritmico che melodico (vedi anche il lavoro di chitarra). Con l'aggiunta di un violino più stridente che melodioso. Pare che questo voglia portare da qualche parte e invece non è così.
Non è che tutto questo sia gratuito, però: ormai sono decenni che conosciamo il post rock e conosciamo lo stoner e conosciamo il doom e conosciamo il drone (anzi, il drone lo conosciamo anche grazie a loro), quindi sarebbe abbastanza stupido criticare a priori un disco che segue queste coordinate. Mi limiterò allora a parlare delle mie impressioni:
Probabilmente mi faccio influenzare dalla copertina ma il disco (i dischi) l'ho recepito come una colonna sonora per un viaggio notturno nel deserto americano accompagnato da Gluskap e qualche sostanza psicotropa. Banale? Molto. Comunque ho apprezzato lo stesso l'impasto sonoro.
Venendo ai lati negativi: non aggiunge nulla al disco precedente. Anche nei pezzi un po' più "anomali" (A Multiplicity of Doors che si abbandona a qualche suggestione freak folk) non mi è parso di sentire nulla di nuovo, per quanto ben suonato. Nessun pezzone del calibro di Old Black che, nella sua monotonia era un piccolo capolavoro.
Vale ugualmente la pena, ma solo se associato al precedente. Altrimenti, vista la strettissima affinità tra i due, è come perdersi un pezzo. Oppure si rischia di considerarlo un po' meglio di quanto non sia in realtà.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
Artista: Earth
Anno di pubblicazione: 2012
Nazionalità: Washington
Comincio il discorso con un'ammissione di ignoranza: non ho mai ascoltato i dischi che si citano generalmente come capolavori degli Earth (i loro primi album).
Ciò detto, Angels of Darkness, Demons of Light II prosegue il discorso dal punto in cui si era fermato il precedente Angels of Darkness, Demons of Light I. Non che il titolo non ce lo facesse pensare, in effetti...
Come nel disco precedente, la quasi totalità dei brani (se escludiamo l'iniziale Sigil of Brass di tre minuti) è decisamente lunga, assestandosi su una media di 10 minuti. Non si arriva tuttavia ai 20 di Angels of Darkness, Demons of Light I (la traccia, non il disco).
Cosa succede in questi pezzi? Assolutamente niente. Non hanno il normale andamento di un pezzo rock, anzi, sono composti da linee strumentali opprimenti ed ossessive che si reggono su un uso della strumentazione molto più ritmico che melodico (vedi anche il lavoro di chitarra). Con l'aggiunta di un violino più stridente che melodioso. Pare che questo voglia portare da qualche parte e invece non è così.
Non è che tutto questo sia gratuito, però: ormai sono decenni che conosciamo il post rock e conosciamo lo stoner e conosciamo il doom e conosciamo il drone (anzi, il drone lo conosciamo anche grazie a loro), quindi sarebbe abbastanza stupido criticare a priori un disco che segue queste coordinate. Mi limiterò allora a parlare delle mie impressioni:
Probabilmente mi faccio influenzare dalla copertina ma il disco (i dischi) l'ho recepito come una colonna sonora per un viaggio notturno nel deserto americano accompagnato da Gluskap e qualche sostanza psicotropa. Banale? Molto. Comunque ho apprezzato lo stesso l'impasto sonoro.
Venendo ai lati negativi: non aggiunge nulla al disco precedente. Anche nei pezzi un po' più "anomali" (A Multiplicity of Doors che si abbandona a qualche suggestione freak folk) non mi è parso di sentire nulla di nuovo, per quanto ben suonato. Nessun pezzone del calibro di Old Black che, nella sua monotonia era un piccolo capolavoro.
Vale ugualmente la pena, ma solo se associato al precedente. Altrimenti, vista la strettissima affinità tra i due, è come perdersi un pezzo. Oppure si rischia di considerarlo un po' meglio di quanto non sia in realtà.
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 7
martedì 10 settembre 2013
Arctic Monkeys - AM
Titolo: AM
Artista: Arctic Monkeys
Anno di pubblicazione: 2013
Nazionalità: UK
Visto che non sono mai aggiornato in tempo reale sulle nuove uscite (come si può vedere, non ci sono stati quest'anno articoli su The 2nd Law né su Colored Sands né su Random Access Memories né su tutti gli altri ritorni di quest'anno) almeno uno di questi album l'avrei voluto commentare per tempo. E avendo scoperto solo oggi che gli Arctic Monkeys han pubblicato il loro nuovo disco ieri, eccomi qui a dare la mia opinione così posso dire di aver fatto qualcosa. Per l'occasione ho pure evitato di leggere recensioni altrove.
Che gli Arctic abbiano in qualche misura dettato legge per quel che riguarda l'indie rock è una cosa che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare. Non mi soffermerò sulla loro evoluzione, che la cosa non interessa a nessuno e probabilmente c'è gente che ne può parlare meglio di me. Per limitarmi ai miei personalissimi gusti (che poi sono l'unica cosa che viene segnalata qua dentro) mi piacevano quando erano dei londinesi cazzoni nei primi due album, mi piacevano ancora di più quando Josh Homme li aveva portati in territori psichedelici e un po' americani con Humbug e con Suck It and See avevano perso gran parte del loro carisma perdendosi dietro a uno stile troppo pop e troppo americano.
Cos'è dunque AM? Gli Arctic Monkeys che ormai non han più nulla di quel piglio cazzone e scanzonato dei primi dischi, gli Arctic Monkeys che migliorano nettamente per qualità di suono (soprattutto per quel che riguarda la chitarra, prendiamo Do I Wanna Know?), gli Arctic Monkeys che DIY non han quasi più nulla e si abbandonano ad una produzione laccatissima.
Cosa intendo con queste parole? Tastiere pompose (non so per i lettori, a me quello che piaceva degli Arctic Monkeys erano soprattutto le sonorità molto grezze), melodie accattivanti e facili e soprattutto l'uso spasmodico di coretti che neppure i peggiori Muse si sognerebbero mai. Quintessenza di queste sonorità sono One for the Road (uh-uh) e soprattutto Knee Socks che, seppure durante le strofe abbia ancora il piglio da ballata à la AM, nel ritornello e peggio ancora nella seconda parte si perde in questi giochetti. Orrore orrore, questi due pezzi sono proprio quelli che vedono la presenza alla voce di Josh Homme.
D'accordo, abbiamo detto le cose brutte, veniamo ai pregi: come ho detto, trovo che dal punto di vista delle sonorità il gruppo sia comunque migliorato così come nell'effetto d'insieme (certo, questo è sicuramente anche dovuto ad una produzione migliore rispetto a un Favourite Worst Nightmare).
Anche il tentativo di andare oltre le sonorità indie più "stantie" in favore di altre soluzioni in realtà è lodevole, per quanto in questo caso i risultati migliori siano quelli in direzione più sfacciatamente psichedelica (vedi Arabella, che ho trovato il pezzo più convincente anche perché lo stile chitarristico è bello hard rock) che non "da stadio" (R U Mine?). Aggiungiamoci un pezzo un po' più particolare come Snap Out of It che si lascia un po' influenzare dal dak cabaret e che almeno in un paio di brani (Why'd You Only Call Me When You're High? e Mad Sounds) il gruppo riesce a trovare una cerca coesione e a non fare suonare banali neppure i coretti per voce bianca. Certo, per ogni Mad Sounds c'è una I Wanna Be Yours...
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5
Artista: Arctic Monkeys
Anno di pubblicazione: 2013
Nazionalità: UK
Visto che non sono mai aggiornato in tempo reale sulle nuove uscite (come si può vedere, non ci sono stati quest'anno articoli su The 2nd Law né su Colored Sands né su Random Access Memories né su tutti gli altri ritorni di quest'anno) almeno uno di questi album l'avrei voluto commentare per tempo. E avendo scoperto solo oggi che gli Arctic Monkeys han pubblicato il loro nuovo disco ieri, eccomi qui a dare la mia opinione così posso dire di aver fatto qualcosa. Per l'occasione ho pure evitato di leggere recensioni altrove.
Che gli Arctic abbiano in qualche misura dettato legge per quel che riguarda l'indie rock è una cosa che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare. Non mi soffermerò sulla loro evoluzione, che la cosa non interessa a nessuno e probabilmente c'è gente che ne può parlare meglio di me. Per limitarmi ai miei personalissimi gusti (che poi sono l'unica cosa che viene segnalata qua dentro) mi piacevano quando erano dei londinesi cazzoni nei primi due album, mi piacevano ancora di più quando Josh Homme li aveva portati in territori psichedelici e un po' americani con Humbug e con Suck It and See avevano perso gran parte del loro carisma perdendosi dietro a uno stile troppo pop e troppo americano.
Cos'è dunque AM? Gli Arctic Monkeys che ormai non han più nulla di quel piglio cazzone e scanzonato dei primi dischi, gli Arctic Monkeys che migliorano nettamente per qualità di suono (soprattutto per quel che riguarda la chitarra, prendiamo Do I Wanna Know?), gli Arctic Monkeys che DIY non han quasi più nulla e si abbandonano ad una produzione laccatissima.
Cosa intendo con queste parole? Tastiere pompose (non so per i lettori, a me quello che piaceva degli Arctic Monkeys erano soprattutto le sonorità molto grezze), melodie accattivanti e facili e soprattutto l'uso spasmodico di coretti che neppure i peggiori Muse si sognerebbero mai. Quintessenza di queste sonorità sono One for the Road (uh-uh) e soprattutto Knee Socks che, seppure durante le strofe abbia ancora il piglio da ballata à la AM, nel ritornello e peggio ancora nella seconda parte si perde in questi giochetti. Orrore orrore, questi due pezzi sono proprio quelli che vedono la presenza alla voce di Josh Homme.
D'accordo, abbiamo detto le cose brutte, veniamo ai pregi: come ho detto, trovo che dal punto di vista delle sonorità il gruppo sia comunque migliorato così come nell'effetto d'insieme (certo, questo è sicuramente anche dovuto ad una produzione migliore rispetto a un Favourite Worst Nightmare).
Anche il tentativo di andare oltre le sonorità indie più "stantie" in favore di altre soluzioni in realtà è lodevole, per quanto in questo caso i risultati migliori siano quelli in direzione più sfacciatamente psichedelica (vedi Arabella, che ho trovato il pezzo più convincente anche perché lo stile chitarristico è bello hard rock) che non "da stadio" (R U Mine?). Aggiungiamoci un pezzo un po' più particolare come Snap Out of It che si lascia un po' influenzare dal dak cabaret e che almeno in un paio di brani (Why'd You Only Call Me When You're High? e Mad Sounds) il gruppo riesce a trovare una cerca coesione e a non fare suonare banali neppure i coretti per voce bianca. Certo, per ogni Mad Sounds c'è una I Wanna Be Yours...
Valutazione personale per chi non ha voglia di leggere: 5
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